10 Febbraio. La coazione a ripetere
Il Giorno del ricordo tra polemiche e strumentalizzazioni. La storiografia di Raoul Pupo. Le Foibe e il contesto della Seconda guerra mondiale. L’utopia e la prescrizione della memoria: il paradigma vittimario delle destre. La controproducente pretesa della ortodossia interpretativa.
di Carlo Saletti
Sullo stesso argomento vedi anche “Il Giorno del Ricordo a Verona. Dalla strada alle Istituzioni, un paradigma negativo”, di Alberto Battaggia
Nato a Verona, ricercatore e regista teatrale, Carlo Saletti ha pubblicato “Il racconto della catastrofe. Il cinema di fronte ad Auschwitz” (1998), “La voce dei sommersi. Manoscritti ritrovati di membri del Sonderkommando di Auschwitz” (1999), “Testimoni della catastrofe” (Ombre corte, 2004); ha, inoltre, curato gli scritti dell’ebreo polacco Salmen Gradowski, apparsi in edizione italiana – “Sonderkommando. Diario da un crematorio di Auschwitz” (2002) – e tradotti in diverse lingue. Ha redatto le voci relative ad alcuni Lager nazionalsocialisti apparse nel “Dizionario della Resistenza” (2001) e figura tra i collaboratori del “Dizionario dell’Olocausto” (2004). Dirige l’Istituto Mantovano di Storia Contemporanea. Tra le sue ultime pubblicazioni, L’Ossario di Custoza. Guida storico-turistica (2013) e Il giorno della gran battaglia (2016). Dal suo libro La voce dei sommersi, edito da Marsilio, il regista ungherese László Nemes ha tratto Il figlio di Saul, che ha ottenuto nel 2016 l’Oscar come miglior film straniero.
“…sono almeno tre gli ambiti discorsivi che affiorano e si intrecciano nella data memoriale del 10 febbraio”.
Attorno al 10 febbraio, da quando la legge che ha sancito il Giorno del Ricordo è stata votata alla quasi unanimità dal Parlamento italiano, assistiamo al riprodursi di aspre polemiche pubbliche attorno agli eventi storici cui rimanda la data. Il fatto che esse si ripresentino immutate e con uguale virulenza anno dopo anno pone il sospetto, a diciotto anni dalla legge, di trovarsi di fronte a una coazione a ripetere, che andrebbe spiegata. Per farlo, occorre porsi preliminarmente una domanda: di cosa parliamo quando parliamo di foibe e di esodo? Perché, in realtà, sono almeno tre gli ambiti discorsivi che affiorano e si intrecciano nella data memoriale del 10 febbraio.
Coazione a ripetere
Tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze. (Dizionario di medicina Treccani)
“Foibe ed esodo”
Con l’espressione “foibe ed esodo” si intendono, in primo luogo, indicare gli effetti delle politiche di violenza attuate dalla Resistenza jugoslava ai danni della popolazione italiana abitante i territori dell’alto Adriatico e condotte attraverso atti criminali, quali le esecuzioni sommarie e l’espulsione o l’emigrazione forzata di una quota ingente di questa popolazione, negli anni conclusivi della seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra. Un fenomeno che Raoul Pupo, uno dei maggiori storici del periodo, ha chiamato “la catastrofe dell’italianità adriatica”. Innanzitutto, a questo rimanda la legge: a un fenomeno storico che può e deve essere compreso attraverso gli strumenti e i metodi della storiografia. Ciò che Pupo fa – e molto bene – è collocare una serie fattuale all’interno della cornice storica, per poterla osservare in una prospettiva ampia, tanto temporalmente quanto spazialmente. Non a caso cita, come episodio che presenta diversi tratti in comune con questa tragedia e che potrebbe fornire utili spunti interpretativi, la Mikrasiatikí katastrofí, la distruzione delle comunità dei greci d’Anatolia, sopraggiunta alla fine del primo conflitto mondiale. In quanto alle vicende altoadriatiche è lo scenario che si produce negli anni decisivi del secondo conflitto mondiale con l’evolversi delle operazioni belliche, che prendono una certa piega, a definire il quadro delle possibilità di sviluppo degli eventi successivi. Così, anche il drammatico esodo dalle terre dell’Adriatico orientale va inserito, per essere compreso e raccontato, nel più complessivo fenomeno degli spostamenti indotti o forzati di popolazione (fughe ed espulsioni), che seguono i giganteschi sommovimenti prodottisi alla fine del secondo conflitto europei del Novecento – come non pensare, a questo riguardo, ai dodici milioni di Volksdeutschen (tedeschi etnici) ricollocati dopo la caduta del Terzo Reich?
La memoria delle Foibe
In secondo luogo, quando si parla di “foibe ed esodo” si fa riferimento alla loro memoria. Per la precisione, a come quelle vicende siano state recepite in Italia, a quale sia stato il ruolo da esse assunto nel più vasto campo della memoria collettiva nell’Italia repubblicana, di quale recezione abbiano goduto e quali gli attori che nei decenni se ne siano fatti interpreti – a partire dalle associazione che hanno raccolto il trauma prodotto da quelle violenze negli individui direttamente toccati e nei loro discendenti sino alla parte politica che più le ha rappresentate nel discorso pubblico – e, infine, quale spazio abbiano trovato nei programmi di insegnamento. Un tema complesso e la cui conoscenza merita altrettanta attenzione. Anche la memoria ha, a sua volta, una storia.
Se la legge ha indubbiamente favorito la diffusione di una conoscenza meno vaga, anche se tardiva, di quei fatti, nondimeno essi rimangono oggetto di una profonda frattura. Per quanto godano ormai di un riconoscimento pressoché unanime, dopo decenni in cui essi sono stati lasciati sul margine delle politiche memoriali, la loro rammemorazione è comunque oggetto di polemica. Capirne le cause e il processo coattivo, che porta annualmente al ripetersi dello scontro, ci fa entrare nel terzo ambito discorsivo, di gran lunga prevalente, attinente all’uso politico del passato.
Prima di proseguire, occorre soffermarsi brevemente sul ruolo assunto dalla memoria in questi ultimi decenni anni. Ritenuta, sul finire del Novecento, come il più forte antidoto alla barbarie che il secolo aveva ampiamento sperimentato, la memoria ha assunto le sembianze di un’utopia – l’ultima del secolo delle utopie – e di una prescrizione (il “dovere della memoria”). Con grande forza, essa ha posto al centro della sfera pubblica la figura della vittima. E’ la predominanza di questa cultura della vittima, da cui tra l’altro hanno avuto origine le leggi memoriali varate nel nostro paese agli inizi degli anni duemila, che va tenuta in considerazione per comprendere la posta in gioco quando, il 10 febbraio di ogni anno, il discorso pubblico si concentra sulle foibe e sull’esodo. “Foibe ed esodo” rappresentano così, per una certa parte politica che ampia rappresentanza ha nelle amministrazioni pubbliche, quella dimensione vittimaria che altrimenti non le sarebbe riconosciuta.
Il paradigma vittimario delle destre
Più che da una cattiva storiografia, è da questa necessità di veder se stesse come vittime e di essere riconosciute come tali che discende la prassi da parte delle forze politiche che di quella vicenda si sono da sempre ritenute portavoce di imporre la propria ricostruzione del fenomeno storico come la “verità” dei fatti e di censurare ricostruzioni storiografiche ritenute non conformi, indicandole alla pubblica opinione come negazioniste e, dove possibile, sanzionandole.
In ciò sta la spina con cui rischiano di pungersi coloro che, a iniziare dagli storici, collocano il fenomeno delle “foibe e dell’esodo” nel quadro complesso delle violenze mortifere che si sono accompagnate all’uscita dalla guerra, e la ragione profonda per la quale il 10 febbraio si presenta come una coazione a ripetere. A ben guardare, è questo ergersi a custodi di un’ortodossia memoriale il peggior servizio che si possa rendere alla legge che, il 30 marzo 2004, ha istituito il Giorno del Ricordo.