La buona destra. Forse che sì, forse che no
di Alberto Battaggia
Abstract. Presentato a Roma il Movimento Buona Destra di Filippo Rossi: laico, solidale, europeista, antisovranista. Tutto quello che aiuta a superare il radicalismo politico è positivo. A Verona, dal 2015, due destre. Quella al governo dal 2017, tra Congresso della Famiglia, Almirante e drug text, ideologicamente segnata da Lega e Fd’I in senso conservatore e reazionario. Flavio Tosi, con Patrizia Bisinella, da tempo si dichiara federalista, antisovranista, liberale, europeista. Ma non basta. Per essere “buona destra”, Tosi dovrebbe cambiare passo nella concezione della politica. Meno potere e favori e più competenze. Per uscire dal suo recinto dovrebbe presentarsi come un innovatore, nelle proposte e nei rapporti. Ne gioverebbero il sistema politico locale e le stesse forze del centro sinistra. Se invece tornasse con la Lega, significherebbe che la destra non può cambiare.
“La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”
“La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”. E’ bella questa citazione di Gustav Mahler: e sintetizza bene lo spirito della “buona destra” di Filippo Rossi. Se poi esamini gli autori citati nel suo Dalla parte di Jekyll. Manifesto per una nuova destra (Marsilio, 2019), trovi Marco Tarchi, Marcello Veneziani, Julius Evola, Gabriele D’Annunzio, Alain De Benoist..: e questi te li aspetti; ma, poi, anche Zygmunt Bauman, Voltaire, Luca Sofri, Ermanno Bencivenga, Norberto Bobbio, Giuseppe De Rita, Giacomo Leopardi, Umberto Galimberti, Arnold Gehlen, Hannah Arendt, Alain Finkielkraut, Karl Popper… Insomma, la sensazione è quella di un rimescolamento di carte mica da ridere. Se poi leggi qualche riga a caso, gulp!: “Non esiste ancora una destra capace di resettare la storia d’Italia senza ricominciare con un loop tragico-comico di eterna guerra civile senza senso e senza obiettivo”….”La politica seria non si aggrappa al rancore, all’invidia, alla paura, alla rabbia”…”c’è chi non sopporta più che in Italia la destra si sia ridotta a un’accozzaglia informe, rancorosa, primitiva, plebea…che sia roba da bar, chiacchiere senza senso e senza costrutto, passatempo cattivista”… E avanti così. La pars construens? “Una buona destra deve pertanto raccogliere la sfida di dare voce a un’Italia che ancora oggi non riesce a non essere patriottica, che ancora sogna la modernizzazione e l’unificazione del paese”.
Tra i punti programmatici, consultabili nel sito dell’organizzazione si sostiene che la Buona Destra “deve dire sempre la verità” ;”contrastare il ‘Partito Unico della Spesa’;
“tornare alla meritocrazia ad ogni livello”; “difendere e servire sempre i diritti e mai i privilegi e rifuggire la demagogia, il populismo e il sovranismo ingannevoli e strumentali”; procedere ad una riforma fiscale e tributaria finalizzata alla riduzione della pressione fiscale sulle imprese e sui cittadini”; “essere laica e garantire i diritti delle persone senza distinzione di età, sesso, identità sessuali, provenienza etnica, ceto sociale e convinzioni politiche, deve tutelare la libertà di culto di tutte le religioni”; promuovere la “Federazione degli Stati Uniti d’Europa”.
Tra le figure politiche da lui citate come possibili interlocutori, Carlo Calenda, Mara Carfagna, Stefano Parisi e Flavio Tosi.
Contro la deriva populista e sovranista di Salvini e Meloni
Ci fermiamo qui. Non vogliamo recensire il saggio o disquisire sulle tesi in esso contenute; né siamo in grado di prevedere il successo di questa iniziativa. Siamo però convinti di una cosa. Che Filippo Rossi metta il dito in una piaga del sistema politico italiano e spinga forte: la deriva populista e sovranista del duetto salvinian-meloniano. Una destra imbarazzante, che contamina il dibattito politico nazionale, costringendo le forze politiche di orizzonte europeo – da Forza Italia al Pd a metà dei 5s- a spendere energie preziose per contenerne gli impulsi distruttivi. Siamo certi che i due leader, e molti dei loro seguaci, di Filippo Rossi si fanno un baffo. Devono pensare che lui sia un pasticcione – come sostiene Nicola Porro – o un illuso. “La destra, in Italia, è ‘sta roba qua”, devono pensare, “e non la scegli tu”. Ma non è così. La convinzione che la crisi economica del 2011 abbia a tale punto stremato la coscienza civica degli elettori italiani da fare loro abbandonare ogni fiducia nella ragionevolezza dell’agire politico, dimentica un dato di fatto. Una persona sceglie sul mercato le merci che trova. Se non trova quelle che lo aggradano, o si adatta ad altre, più scadenti; o, più spesso, non le compra.
Le amministrative veronesi del 2017
La politica è una faccenda complicata. Prendiamo il caso delle amministrative veronesi del 2017. Tre i fenomeni più vistosi di allora. Il primo fu l’astensionismo. Nel 2017, al ballottaggio, scelsero di non votare più di 120 mila elettori su 200.767. Il secondo, il fatto che al ballottaggio andarono due leader di “destra” – Federico Sboarina e Patrizia Bisinella – unico caso italiano, almeno per le città di media dimensione. Il terzo, fu il format politico delle forze a sostegno dei due candidati: ad entrambi, la gran parte dei voti non venne dai “partiti”, ma da movimenti civici ritagliati su di loro: rispettivamente, la Lista civica Sindaco Sboarina, 15mila voti, espressione di “Battiti”, seguita dalla Lega con 9mila e da Fd’I e FI con 3mila ciascuno; e la “Lista Tosi”, 18mila voti, seguita da “Ama Verona” 4mila e “Fare! Con Flavio Tosi”, 3mila.
In termini generali, il senso della vicenda è chiaro.
Sullo sfondo, la crescente personalizzazione dell’attività politica, tendenza anche nazionale, assai accentuata a livello amministrativo, ove il contatto con i candidati è quotidiano.
In primo piano, la diaspora del blocco elettorale tosiano, successiva alla clamorosa espulsione dell’ex sindaco dal suo partito nel 2015, che tagliò a metà la mela elettorale del centro destra veronese. Si presentarono così due candidati nella stessa area. Tosi, non potendo correre per il terzo mandato, candidò, un po’ tardivamente, la senatrice Patrizia Bisinella, preferendola al fino ad allora fedelissimo braccio destro Fabio Venturi.
La fisionomia politica della destra di governo
Che fisionomia hanno assunto questi due blocchi? E’ possibile distinguerli? Ha senso farlo? Nel blocco-Sboarina, fin da subito, hanno fatto sentire il loro maggiore peso relativo i due partiti nazionali presenti nella coalizione: prima a livello ideologico; poi a livello politico-amministrativo. Si ricorderà lo sconcertante Congresso della Famiglia organizzato a Verona nel marzo 2019 grazie all’impegno del ministro alla famiglia Lorenzo Fontana. Una sagra nazional-balcanica dedicata a dio, alla patria e alla famiglia, condita da populismi cristiano ortodossi e slanci putiniani. Allora la Lega era al governo, Matteo Salvini minacciava il mondo dagli Interni e il senatore Pillon puntava alla beatificazione. Forse si montarono la testa. Poi si è fatta sotto Fratelli di Italia, buttando sul piatto l’intitolazione a Giorgio Almirante di una strada cittadina e, in rapida successione, il texano drug-test nelle scuole veronesi, sgretolatosi per l’assurdità pedagogica e le imbarazzanti vicende giudiziarie del proponente. Al di là dei penosi risultati, è risultato chiara la ricerca, per il blocco-sboariniano, di darsi una connotazione ideologica chiara, classicamente di destra-destra, più o meno nostalgica, spesso e volentieri reazionaria, omofobica, antieuropeista, trumpiana, putiniana, clericale…
Sul piano amministrativo, il desiderio dei due partiti di riprendersi la piazza è stato scandito prima dal progressivo sfaldamento dei consiglieri eletti nella Lista del sindaco, passati in 6, su 11, ad altri gruppi consigliari; e poi dalla clamorosa bocciatura del progetto di fusione Agsm-Aim-A2A, fatto saltare anche a costo di umiliare l’unico vero manager, dopo anni, al timone in Agsm, Daniele Finocchiaro; di inimicarsi il Gotha industriale veronese, da Michele Bauli a Giuseppe Riello; e di indebolire gravemente il “loro” sindaco lasciandolo, si presume, al suo destino.
Il messaggio, quindi, vorrebbe essere forte e chiaro: la destra, a Verona, siamo noi. E non è una “buona destra”.
La destra di Flavio Tosi e Patrizia Bisinella
L’altro blocco, la destra di opposizione, appare in corso di definizione. A noi sembra che in esso si muovano due logiche. Da una parte, il pragmatismo del leader, Flavio Tosi, forte di un istinto politico temprato da dieci anni di governo cittadino. L’ex sindaco conosce bene la città, gli attori principali, il gioco ruvido degli interessi economici in movimento. E anche le debolezze e i rischi di tanti aspiranti amministratori che simpatizzano non per il candidato più simpatico, ma per quello più promettente nello scambio tra consenso e ricompensa in qualche ente. Costoro possono essere elettoralmente molto utili, ma sono soggetti a fedeltà limitata e questo gli ha già creato un sacco di guai. La politica, secondo lui, funziona così. Per governare bisogna prendere voti e per prendere voti bisogna darsi da fare senza troppa puzza sotto il naso. Realistico ma molto rischioso.
Dall’altra parte, forse anche lusingato dalle attenzioni che Gad Lerner gli riservava a “L’Infedele”, Flavio Tosi ha iniziato, non da poco, a distinguersi ideologicamente dalla destra più ottusa e populista. Lo ha fatto rivendicando il suo federalismo padano originario contro la deriva prima secessionista e poi sovranista del partito di Salvini; e poi sottolineando le ragioni dei diritti civili contro ogni forma di omofobia. Infine, la ristrutturazione del Tosi-pensiero ha toccato anche l’europeismo, la difesa dell’Euro, il riformismo.
Poi, è vero, si avvertono certe esitazioni o reticenze, specialmente sul passato storico, che ci sembrano rivelare il timore di deludere alcuni segmenti irriducibili della “sua” destra.
Un’evoluzione credibile?
Un’evoluzione mica facile e mica banale, quella di Tosi. Può dirsi anche credibile? Per gli avversari di sempre no: fuffa, chiacchiere, tattica, furberia… E’ chiaro che sul piano politico i vantaggi dati da una conoscenza scientifica del territorio, sono compensati da tutti i problemi e le difficoltà incontrate in due mandati consecutivi. Gli avversari hanno buon gioco a ricordare i braccioli antimmigrati sulle panchine veronesi, una condanna per razzismo, il traforo mancato delle Torricelle; la dubbia e a volte penosa qualità di certe presidenze assegnate nelle partecipate, l’arresto del suo assessore all’urbanistica (ottimamente rimpiazzato)….Se insomma si va a vedere sul piano concreto, amministrativo, i risultati dei due mandati, per molti le ombre prevalgono sulle luci. Nei giorni scorsi Giorgio Massignan, in un’intervista, ha liquidato l’ex sindaco così: “Tosi? Dieci anni di nulla“. Non si può liquidare, tuttavia, l’ampia maggioranza di elettori che lo hanno premiato due volte al primo turno. Quelli rimasti sempre con lui, infatti, lo esaltano invitando a ricordare l’ampio consenso – “tutti stupidi i veronesi?”- e la capacità di fronteggiare gli avversari: “nessuno apprezzato come lui…si è sempre rialzato, non molla mai…”; diversi operatori del settore immobiliare, del commercio, della piccola imprenditoria – ma anche un ex Rettore come Alessandro Mazzucco, ora presidente di Cariverona – ne hanno sempre lodato la determinazione; estimatori presenti nel campo avverso non mancano – gli riconoscono sottovoce la grinta ed il decisionismo: “avercene, uno così”. E lo voterebbero al secondo turno, nell’occasione.
Un percorso potenzialmente interessante
A noi sembra che quello di Tosi, rispetto alla fisiologia del sistema politico locale, potrebbe essere un percorso interessante, anche se tutto da dimostrare. Arricchito dalla collaborazione non certo secondaria di Patrizia Bisinella, che certo non richiama, nel suo fare politico, la destra da curva sud alla quale siamo più abituati e con la quale il suo sodale ha a lungo flirtato. Potrebbe essere questa la “buona destra” veronese? Nella conferenza stampa di presentazione del suo movimento, qualche giorno fa, Filippo Rossi ha citato Flavio Tosi come un compagno di strada. Non abbiamo notizie di analoga dichiarazione da parte del leader veronese, ma non è molto importante. Importante è capire se anche Flavio Tosi stia cercando di mettere assieme una “buona destra”, con o senza la benedizione di Rossi; e che spettro politico potrebbe rappresentare. La radicalizzazione del sistema politico, a livello nazionale e locale, è una iattura dalla quale prima ci risolleviamo, meglio è. Le dinamiche politiche che portano obiettivamente a posizioni più moderne ed europee, ricucendo un tessuto disgregato, vanno apprezzate. Ad esempio, la famosa “area moderata” ex Forza Italia, 21mila voti nel 2007, 12mila per il candidato Luigi Castelletti nel 2012, che fine ha fatto, la diamo per estinta? O si nasconde anche in quei 120mila elettori che non hanno votato al ballottaggio del 2017?
Ovo, galina e cul caldo. Non funziona
Il fatto è che, come amano dire i veronesi, non si può avere ovo, galina e cul caldo: se Tosi vuole uscire dal recinto ben protetto, ma elettoralmente insufficiente in cui si trova attualmente, deve rischiare, presentandosi non più come una controversa, “sicura” risorsa del passato, capacissima di giostrare ma affezionata, alla fine, a nuclei di militanti della prima ora che ne frenano lo slancio; a fragili do ut des; ad una riedizione nostalgica di piccole patrie padane. Dovrebbe vestire i panni dell’innovatore. Una figura in grado di destabilizzare il fragile sistema politico locale con proposte che superino i recinti elettorali tradizionali e cerchino un legame solido con ambienti istituzionali e qualificati. Dovrebbe anche riconsiderare, in uno sforzo autocritico non comune, tante scelte fatte in passato, spesso comprensibili solo in termini di consenso, di sostegno elettorale, di ricompensa politica. Sì, lo sappiamo, la politica è anche questo. Ma non può ridursi a questo, solo a questo. Perché poi, alla fine, le cose non vengono bene: i lavori si interrompono a metà, i progetti falliscono, si cerca di accontentare tutti e non si accontenta più nessuno… E quelli che erano fedelissimi diventano nemicissimi. Le sue amministrazioni non sono state altrettanto brillanti del consenso elettorale di cui hanno goduto. Il sindaco di una città evoluta dovrebbe essere il regista di un insieme di competenze messe al servizio dei cittadini. Improvvisare, vivere alla giornata, non è realismo politico, è pressapochismo.
Se tutto questo accadesse, non ne guadagnerebbe solo la qualità della “destra”, ma il sistema politico veronese nel suo complesso. In particolare, ne trarrebbero giovamento le forze del centro sinistra, che appaiono esauste dalle sconfitte a ripetizione, dignitose nell’esercitare il loro ruolo di opposizione nei consigli circoscrizionali e comunale, ma prive di una idea forte, moderna, aggregante di gestione della città, da contrapporre a quella degli avversari. Combattere la mediocrità o lo squallore non aiuta a migliorarsi.
Se invece, alla fine, in nome del mitico “realismo”, della mancanza di veri avversari, della convenienza immediata, della stanchezza del “solo contro tutti”, l’area tosiana si ritrovasse di nuovo a condividere le sorti politiche con le tradizionali forze della destra, in particolare della già disprezzata Lega salviniana, beh, vorrebbe dire che anche a Verona, come a livello nazionale, “La destra è ‘sta roba qua”.
L’articolo di Alberto Battaggia – che lo si condivida o meno – ha tre meriti fondamentali. Ma alcuni temi importanti a mio avviso vanno aggiunti.
Il primo merito è quello di ricordare a tutti che la politica italiana ha tremendamente bisogno anche di una “buona destra”: una destra liberale, ma costituzionale e moderna. Come ha bisogno – aggiungo io – di una “buona sinistra”: una sinistra sociale, ma moderna e aperta all’innovazione.
Il secondo è di aprire un dibattito trasparente sulla politica veronese, anche in vista delle elezioni del 2022. L’articolo pone questioni politiche, e questa paradossalmente è una novità. E’ infatti abitudine della politica veronese contrattare alleanze in alcune nascoste stanze della politica, dove non si devono fornire risposte, ma negoziare poltrone.
Il terzo merito dell’articolo è di offrire l’occasione per ricordare un tratto distintivo dell’Associazione “La città che sale”: nell’ambito di un condiviso orizzonte liberal-democratico e aperto all’innovazione, l’Associazione è politicamente e culturalmente plurale e raduna sensibilità anche molto diverse fra loro. Questo del resto è uno degli aspetti che la rendono interessante per chi vi partecipa: che noia, almeno secondo me, confrontarsi solo con chi la pensa sempre come noi.
Vengo quindi alla mia opinione personale.
L’articolo di Alberto si occupa prevalentemente di aspetti ideologici e sottolinea, sotto questo profilo, una certa evoluzione politica del personaggio Tosi. Che questa evoluzione vi sia stata, è sotto gli occhi di tutti: e alcune recenti posizioni, in particolare in materia di diritti civili, sono apprezzabili. Altrettanto certo è che non si tratta di un’evoluzione conclusa. Ricordo, ad esempio, un fatto preciso e recente: Flavio Tosi – così come Patrizia Bisinella – è stato tatticamente “assente” alle votazioni del Consiglio comunale che hanno riguardato tanto Giorgio Almirante (14 marzo 2019) come la senatrice Segre (16 gennaio 2020). Un atteggiamento molto “doroteo”, che non ricorda certo una destra chiaramente e orgogliosamente liberale, costituzionale e moderna. Sembra di capire che ci si voglia distinguere dagli estremisti presenti nell’attuale maggioranza senza scontentare troppo i “propri” elettori dello stesso orientamento.
Ma il punto fondamentale secondo me è un altro. Il decennio tosiano ha mostrato, nella gestione amministrativa della città, tre aspetti che non vorrei mai si ripetessero a Verona.
Il primo riguarda la visione della città. Le destre moderne del Nord Europa hanno realizzato città “sostenibili”, riducendo il traffico, promuovendo un trasporto pubblico moderno ed efficiente e sostenendo la mobilità ciclabile. Tosi ha perseguito una politica completamente opposta. Una politica da “anni Settanta”, basata sul culto del traffico privato, dei parcheggi in centro, delle infrastrutture stradali svincolate da ogni programmazione del traffico. Una politica che ha sempre sottovalutato in modo grave le indicazioni della scienza in merito a quanto le città devono fare per contrastare l’inquinamento urbano e il cambiamento climatico.
Il secondo aspetto riguarda le modalità di raccolta del consenso. Tosi si è prevalentemente circondato, con poche eccezioni (tra cui quella ricordata nell’articolo) di collaboratori scelti non per la competenza ma per la fedeltà personale (per lo meno dichiarata, in alcuni casi). E ancora oggi decide le proprie posizioni sulle questioni amministrative guardando al consenso spicciolo, piuttosto che a una visione innovativa della città: la recente sottoscrizione (insieme con Cinque Stelle e Sinistra!) di una mozione populista sul 5G a Verona ne è solo l’ultimo esempio. L’insistenza sulla “veronesità” delle partecipate è un altro. Cosa tutto questo abbia a che fare con una destra moderna, nonché aperta alla sostenibilità e all’innovazione, rimane per me un mistero.
Il terzo aspetto riguarda le più note proposte del decennio tosiano. Proposte non basate su una visione complessiva della Verona del futuro, ed impostate invece su presunte “idee brillanti” di chi dirigeva l’Amministrazione: il cimitero verticale, la copertura dell’Arena, la ruota panoramica in pieno centro, il traforo a quattro corsie e camionabile e molte altre. Tutte idee lontanissime dalla prospettiva di una Verona moderna e innovativa. E tutte idee delle quali si è moltissimo parlato, ma che (per fortuna) non si sono mai realizzate. Per tentare di portarle avanti, Tosi ha adottato provvedimenti pesantemente censurati dal Tribunale civile di Verona e contrastanti con le linee guida della Autorità anticorruzione (ciò è accaduto durante la vicenda del Traforo). La stessa accusa – quella di muoversi contro gli orientamenti di Anac – Tosi ha recentemente contestato, non senza ragioni, al Sindaco in carica.
Dunque, si, abbiamo necessità, anche a Verona, di una destra liberale, costituzionale e moderna. Ma ciò non può a mio avviso essere assicurato da una riproposizione delle politiche di Tosi. E richiederebbe invece proposte del tutto nuove (a destra come a sinistra).
Analisi vere non ne vorrei condurre, mi pare che non ne valga granché la pena anche ricordando l’incontro di qualche mese fa con Filippo Rossi in una saletta di Palazzo Barbieri, alla presenza di alcuni amministratori locali di … ehm … non enorme spessore e di altri “quattro gatti”, in cui le mie domande ricevettero dall’ospite inutili e quasi imbarazzate risposte generiche, sostanzialmente del tipo “ha ragione, ma …” senza proposte concrete.
Strano, vero?
Ecco alcune riflessioni sparse, dunque, a partire dalla curiosa e ardita idea di mettere insieme Popper e Bauman – già intellettualmente discutibile e un filino pretestuosa – infilandoci poi un Veneziani qualsiasi e così rasentando il comico. Per non dire di Voltaire e di Hannah Arendt, dell’ormai sempre noiosissimo auto-plagiatore Galimberti o di un Bobbio che nulla ci azzecca, come direbbe l’ex poliziotto assurto agli onori della cronaca giudiziaria che fu portato in Parlamento a litigare con l’idioma di Dante.
Insomma, una specie di strano cocktail pseudo-culturale da servire ad astanti che si vorrebbe stupire con supposti effetti speciali.
Ma veniamo all’ex-protagonista di una stagione amministrativa che prometteva meraviglie – nel corso del primo mandato – per ridursi poi all’ossessiva ricerca di un futuro per sé, che nulla ha portato alla città, conclusasi con la farsa della candidatura per interposta … ehm …“fidanzata”.
Definire Tosi “pragmatico” pare assai generoso, più aderente al suo profilo etico sarebbe l’immagine di “animale politico” che non ha valori propri ma fiuta il vento ed è disponibile ad allearsi con chiunque gli proponga una ragionevole opportunità di potere, unico fine della sua azione, da gestire – come ha sempre fatto, così motivando il giusto tentativo di impedirne il perpetuarsi – distribuendo poltrone, sedie e finanche strapuntini ad ogni associazione, individuo … magari pure ectoplasma in grado di ricambiare.
In altri Paesi, più seri di codesta Cialtronia, un politico battuto torna alla sua occupazione.
Già, ma nel caso specifico non ve n’è traccia.
Ok, trovarne una contando sulle esperienze e le relazioni frutto della … ehm … parentesi al servizio – si fa per dire – della comunità?
No, conta solo il potere, fine a se stesso.
La fondata obiezione sarebbe il “così fan tutti” ma, se vogliamo quel cambiamento di comportamenti e obiettivi che riteniamo necessario, davvero si può pensar di riaffidare il timone a chi è stato sempre preclaro esempio di ciò che la politica non dovrebbe essere?
No, direi di no.
Ottima analisi delle criticità della destra sia a livello locale che nazionale. È sempre più chiaro che, nel panorama politico, manchi una forza liberale e europeista forte che possa opporsi allo strapotere populisti di Savini e della Meloni. Personalmente, vedo tante forze che si professano appunto liberali, europeisti e attente ai diritti (+E, Azione, IV, parte di Forza Italia), però appunto questa estrema frammentazione non fa altro che indebolire a vicenda. Il successo della Lega e di FdI passa anche, e soprattutto, attraverso l’immagine di avare un leader forte e apparentemente unico, un blocco solido non spezzettato.
Un polo liberal a livello nazionale potrebbe potenzialmente tradursi anche in nuove coalizioni qui a Verona, portando quelle novità che molti attendono, ripulendo un pochino l’immagine di Verona “città nera” che Sboarina e amici hanno ulteriormente rafforzato in questi anni.
Un esempio spiega la distanza siderale fra le politiche di Tosi e le buone pratiche delle città del Nord Europa, molte delle quali amministrate dalla destra (moderna).
Le zone 30.
Tosi le vede come il fumo negli occhi. In dieci anni non ne ha fatta una.
Questi i vantaggi (prendo da un post di Paolo Ruffino:
” i vantaggi della diffusione delle Zone 30 nelle nostre città:
– Oltre 40 studi prima-dopo dimostrano che l’inserimento di Zone 30 con adeguati dispositivi di moderazione del traffico riduce il numero di incidenti del 25%. Per gli incidenti con feriti gravi, questa percentuale sale al 40%. Mentre, la probabilità di incidente mortale sparisce quasi del tutto.
– Minore velocità e presenza di traffico di attraversamento vuol dire restituire quegli spazi alla socialità, migliorare la qualità dell’aria e ridurre l’impatto del rumore.
– Le Zone 30 diffuse su tutte l’ambito urbano (e non solo a pezzi qui e la), incentivano le persone a spostarsi in maniera attiva, migliorando la propria salute, riducendo l’incidenza di malattie non transmissibili cardio-vascolari, generando risparmi privati e sul sistema sanitario.
– Minori spostamenti brevi in automobile e più spostamenti a piedi e in bicicletta, vuol dire minore congestione a vantaggio di chi dell’auto non può farne a meno.
– Riprogettare un quartiere in Zona 30 non è solo cambiare la regolamentazione e la segnaletica di quella via ma diventa l’occasione per riprogettarla inserendo del verde, spazi per la sosta bici, tavolini, panchine, ampliare i dehor. Tutto a vantaggio di una città più bella e vivibile.
– La zona 30 avvantaggia il commercio grazie ad un incremento della presenza di pedoni e ciclisti, ed una generale migliore esposizione del negozio.
Qualche caso internazionale:
– Nei Paesi Bassi, Germania, Danimarca: tutte le strade, eccetto le principali e le extraurbane (e casi speciali) sono Zone 30 (e talvolta anche Zone 20 o 10).
– Parigi vuole rendere tutta la città una Zona 30 diffusa.
– Il nostro studio (prima-dopo) per la città di Monaco di Baviera ha dimostrato che la trasformazione di 80 vie in Zone 30 con priorità ciclabile, ha ridotto dell’ -11% il traffico veicolare ed aumentato del +20% la mobilità attiva ad 1 anno dall’intervento generando un ritorno economico-sociale di € 29 milioni contro costi irrisori (ca €100 mila per intervento).
Nel 2018 sono stati 172.553 gli incidenti stradali con lesioni a persone in Italia con 3.334 vittime (morti entro 30 giorni dall’evento) e 242.919 feriti. Si tratta di 9 morti al giorno e 27 feriti all’ora. Il 73.4% degli incidenti avviene su strade urbane e costano alla società 1 punto percentuale di PIL. Le Zone 30 sono uno degli strumenti che può contribuire seriamente a fermare questa strage.”
Luciano questo è un giudizio un po’ troppo severo..
“Un esempio spiega la distanza siderale fra le politiche di Tosi e le buone pratiche delle città del Nord Europa, molte delle quali amministrate dalla destra (moderna). Le zone 30 Tosi le vede come il fumo negli occhi. In dieci anni non ne ha fatta una.“
Ti segnalo che il “Prontuario per la qualità architettonica e la mitigazione ambientale” parte del Piano degli Interventi (da me redatto nell’ambito del Piano approvato dall’amministrazione Tosi) introduce la tipologia stradale della “strada-cortile” che è tutta una zona 10.
Sono state realizzate due strade-cortile in altrettante lottizzazioni (una progettata da me), tutto approvato dalle Giunte Tosi (prima del mio ingresso in Giunta).
Poi non dimentichiamo la fine che ha fatto la zona 30 introdotta dall’amministrazione Sboarina attorno al centro storico alla fine del lockdown.
In definitiva: le amministrazioni sono espresse dal corpo elettorale e ne interpretano le volontà.
Nei paesi mediterranei, come in nord-Europa.
A me non importa, Luciano, che cosa faccia o programmi di fare – say – Parigi: non è detto che sia bene copiare tutto (e magari il suo contrario) perché proviene da un altro Paese, pur se sono certamente molti gli esempi di buone pratiche da studiare ed eventualmente importare, in qualunque ambito. Nello specifico, io credo che il semplice passaggio a “zona 30” senz’altri interventi di contesto e PESANTE riorganizzazione sia azione mirata alla sola comunicazione, acriticamente dettata da un ovunque – ahimè – diffuso ambientalismo militante che sogna il ritorno ad un impossibile e invivibile mondo bucolico.
In ogni caso, tra i moltissimi possibili motivi di critica all’amministrazione dell’aspirante sultano Tosi questo mi pare davvero irrilevante.
Penso che il tentativo di Rossi meriti di essere incoraggiato. Nel nostro paese infatti, se non risaliamo a Cavour, una destra europea e autenticamente liberale non è mai esistita. Proprio un uomo di destra come Montanelli guardava con grande amarezza questa situazione e ,soprattutto nei suoi ultimi anni, amava ripetere che la destra in Italia sente sempre il richiamo del manganello. Speriamo davvero che l’iniziativa porti a dei risultati concreti e utili per tutto il paese.