La destra che c’è. E quella che non c’è (ancora)
La destra che c’è. Il Manuale Cencelli di Palazzo Barbieri. Due partiti pesanti e un movimento, leggero, di potere. Quindici anni di “destra”: un po’ di storia. I due mandati di Michela Sironi Mariotti. Lo chock Paolo Zanotto. Le amministrative del 2007: l’idrovora Flavio Tosi, duro e puro. Il secondo mandato del “barbaro sognante”, tra progetti falliti e arresti in giunta. Crisi e rinascita della Lega. Il buttafuori Salvini e lo scisma veronese. Il voto del 2017: il calvario di Flavio Tosi. Alla ricerca della destra che non c’è. Superare gli schemi del passato. La possibile variante di centrosinista
di Alberto Battaggia
Le forze della “destra” veronese sono divise in due da alcuni anni. Elettoralmente, dal 2017, quando Federico Sboarina, candidato da una sua lista civica, Battiti, dalla Lega, da Forza Italia e da Fratelli di Italia, fu eletto sindaco superando al ballottaggio Patrizia Bisinella, sostenuta da alcune liste legate all’ex sindaco Flavio Tosi. Che cosa ha diviso i due schieramenti? Idee? Progetti? Strategie di evoluzione urbana? Molte delle personalità legate alla attuale maggioranza avevano lavorato con Flavio Tosi; il sindaco attuale, per fare un esempio, era stato il suo assessore all’Ambiente; Anna Leso lo era stata alle Politiche sociali; Stefano Casali ai Lavori pubblici… Qual è dunque il senso non occasionale di questa divisione? Cosa esprime, rispetto alla storia della “destra” veronese, questa frattura? Non è facile dirlo, perché stiamo parlando di un arco di tempo lungo, quindici anni, durante i quali le vicende strettamente locali si sono intrecciate alle dinamiche politiche nazionali, ancora più complesse.
Oggi
Partiamo dalla fine, ossia dalla destra che c’è oggi in Consiglio comunale, frutto delle amministrative del 2017. Quell’anno, la lista Battiti per Verona, che candidò il sindaco, espresse il gruppo più forte, con 11 consiglieri. Poi venne la Lega con 7, Fratelli d’Italia con 2, Verona Pulita con 1. 23 consiglieri, contro 13 dell’opposizione: 3+2 legati a Flavio Tosi, 4 del PD, 2 dei 5Stelle e 1 a testa per Sinistra in Comune e Traguardi. E ora?
Trascorsi quattro anni, la maggioranza di prima non c’è più. O meglio: non è cambiato il prodotto – la maggioranza – ma l’ordine dei fattori. I gruppi consigliari si sono rimescolati, estinti, rinati in altra forma. In sintesi: si è dissolto Battiti; è nato per partenogenesi Verona Domani poi evoluto in Battiti per Verona Domani; Fratelli d’Italia ha triplicato la rappresentanza e accolto, sorprendentemente, anche il Sindaco, che in questo modo avrebbe blindato la sua ricandidatura sulla base degli accordi regionali tra il partito di Salvini e quello della Meloni. La Lega si è rimescolata perdendo e guadagnando tre consiglieri, fra cui un grillino dall’opposizione; è scomparsa Verona Pulita. E la destra tosiana? “Ama” è diventata “Fare” Verona, ma 5 erano i consiglieri tosiani e 5 sono rimasti. Sempre nell’opposizione, il Pd ha perso una consigliera per il Gruppo misto, e i grillini un altro -il capogruppo – per la Lega.
Voltagabbana, cambiabandiera, opportunisti…si può anche liquidare tutto in questo modo, ma sarebbe sbagliato. Il fenomeno non interroga tanto l’etica dei protagonisti – qui non si vuole fare del facile moralismo: ognuno si arrangia come può – ma, in generale, agli occhi dei cittadini, il senso che l’appartenenza ad un gruppo politico ha. Diciamo che per il buon padre di famiglia un’appartenenza politica dovrebbe avere a che fare con principi, visioni della realtà, interessi da rappresentare. Qui è dura riconoscerli.
I fenomeni più rilevanti sembrano essere stati due: la crescita “artificiale” di Fratelli d’Italia, che ha anticipato quello che si prevede accadrà alle urne; e la conferma del consistente blocco civico “Battiti per Verona Domani”. La Lega, in consiglio, è rimasta , quantitativamente, quello che era. Nella attuale maggioranza sembrano perciò convivere, in termini complementari, due diverse concezioni dell’agire politico: due partiti tradizionali, Lega e Fratelli d’Italia, con il loro carico di pesantezze sloganistico-identitarie, di capi e sottocapi e di condizionamenti regionali e nazionali; e un soggetto liquido, post-ideologico, anonimo, Battiti per Verona Domani, pragmaticamente aderente alle occasioni di potere amministrativo. Le due personalità più rappresentative del movimento, Matteo Gasparato e Stefano Casali, sono, rispettivamente, presidente del Consorzio Zai e di Agsm-Aim. Infine, Forza Italia, che è forse il caso più bizzarro: i consiglieri appoggiano il sindaco, il partito non più!
2017-2021. Quattro anni per dimenticare Tosi
In questo quadro, la ridefinizione dei gruppi consigliari, appare il frutto di un accordo tra le forze politiche finalizzato a compensare squilibri di potere o di consenso nella più classica tradizione del Manuale Cencelli. Una forma di razionalità politica, in fondo. Qual è il vero limite di tutto ciò? Che non c’è altro. Non si riescono a trovare, in un gruppo rispetto ad un altro. elementi caratterizzanti, un’idea particolare, una priorità progettuale per la città; né un’analisi convincente sulla crisi dell’Aeroporto o della Fiera o della finanza veronese….Il dinamismo politico delle forze di maggioranza, in realtà, è stato in questi anni del tutto apparente, superficiale. La giunta di Federico Sboarina ha tirato a campare cercando specialmente di smarcarsi dall’eredità tosiana – traforo, filobus.. – senza riuscirci, ad eccezione, forse, dell’urbanistica, nella quale i “sobri” indirizzi dell’assessore Segala sembrano avere accolto alcune delle critiche sollevate dalle opposizioni di ieri e di oggi.
Per il resto c’è ben poco e qualche disastro, come la penosa vicenda del trasporto pubblico o gli smacchi nazionali in ambito culturale. Quando il sindaco ha cercato di volare alto, l’estate scorsa, accogliendo le pressioni di Confindustria per nominare alla guida di Agsm Daniele Finocchiaro e legare l’azienda ai lombardi di A2A, si è dovuto rapidamente rimangiare tutto e ossequiare il mito leghista della “veronesità” campanilistica. Gli enti non si toccano, sono una riserva di caccia esclusiva. La recente nomina a presidente di Agsm Lighting – 12 milioni di fatturato – di un pizzaiolo- autista parla da sola, sulla concezione della politica che domina questa amministrazione. Il provincialismo sempre e dovunque e il premio assicurato alla militanza e non alla competenza.
Il bilancio di quindici anni di “destre” al governo della città
E prima? Prima stanno i dieci anni della destra unita, quella dei due mandati del sindaco Flavio Tosi, dagli esiti assai contraddittori, come vedremo. Progetti iniziati, falliti, ripresi; alcune intuizioni, molti errori, tanto decisionismo: ma cosa si è concluso, concretamente? Alla fine, guardando a questi ultimi quindici anni di “destre” al governo cittadino, che bilancio farne? Quale giudizio esprimere di questo ceto politico? Nonostante la solidità bulgara delle maggioranze a disposizione, il bilancio complessivo delle amministrazioni Tosi Uno 2007-2012; Tosi Due 2012-2017; Sboarina 2017-2021- è stato obiettivamente fallimentare. Nessuno dei grandi problemi cittadini è stato affrontato e risolto. Non il traffico, non l’inquinamento, non l’Arsenale, non Fondazione Arena, non il filobus, non i problemi della Fiera, non quelli dell’Aeroporto, non la destinazione dei palazzi storici, non l’ammodernamento del patrimonio museale… La città, dopo quindici anni, non è migliore di prima. E’ ferma. E non sa dove andare.
Un po’ di storia: i due mandati di Michela Sironi Mariotti.
Come si è arrivati a questo? Bisogna prenderla un po’ alla lontana. C’era una volta Forza Italia, che a Verona, ben più della Lega, aveva raccolto l’eredità dorotea: l’identità politica profonda della città. Un’eredità fin troppo comoda: voti assicurati senza fare troppa fatica. Bastava assicurarsi le posizioni nei posti che contavano, tenersi buona la curia e favorire gli affari, specialmente immobiliari. Gli otto anni di Michela Sironi Mariotti filarono via lisci così.
Vediamo. Nel 1994, dopo le anomale giunte postangentopoli di Aldo Sala (1990-93), Enzo Erminero (1993) e del Commissario prefettizio Alberto De Muro (1993-94), in sincronia col berlusconiano quadro politico nazionale, diventa sindaca Michela Sironi, di Forza Italia, che va al ballottaggio con le sole forze del suo partito e del Ccd. La Lega e Alleanza Nazionale presentano loro candidati (rispettivamente, Giovanni Maccagnani e Massimo Galli Righi).
Nel 1998, la Sironi si ripresenta con Fi, CCd e Cdu,mentre la Lega va ancora da sola con Francesco Girondini. La Sironi, in ogni caso, viene riconfermata al ballottaggio con il 58% dei voti. Ricordiamoci che la Lega, in quegli anni, si è radicalizzata, predicando la secessione della Padania. L’isolamento politico della formazione di Bossi, determinato dalla nuova linea, rientra quando Berlusconi, nel 2000, fonda la Case delle libertà, riaccogliendola assieme ad Alleanza Nazionale.
La nuova alleanza fa le sue prime esperienze amministrative proprio a Verona. Dopo due mandati, la Sironi deve infatti cedere il passo, per legge, a qualcun altro. Nel 2002, Gian Carlo Galan – ancora il doge di Venezia e non un pregiudicato – vuole Pierluigi Bolla quale candidato unico della coalizione di centrodestra (FI, Cdu, CCd, Lega, Alleanza Nazionale). La Sironi, invece, insiste per l’avvocato Aventino Frau. Galan non ci sente, è lui che comanda in Veneto e così passa Bolla. La Sironi non la manda giù, fa un giro di valzer e si schiera a sorpresa con il centrosinistra. Inaspettatamente, al ballottaggio, vince Paolo Zanotto. Uno shock. Come è possibile perdere la guida di una tra le città più conservatrici e moderate d’Italia? Accade quando si sceglie un candidato sbagliato; perdi un pezzo politicamente molto significativo della coalizione e sottovaluti gli avversari.
Tutti contro Zanotto
I cinque anni di Paolo Zanotto sono vissuti dalla destra veronese con uno stato d’animo misto di frustrazione e desiderio di riscossa. A rappresentarla politicamente sono ancora quattro partiti veri e propri: Alleanza nazionale; Lega Nord, Forza Italia e Udc, che ha raccolto tutti gli ex democristiani. Costoro – alla faccia dei moderati – fanno opposizione dura, praticano l’ostruzionismo (mai visto, a Palazzo Barbieri!), polemizzano su ogni provvedimento. La nuova giunta parte bene, con alcuni progetti di grande respiro , come il Polo finanziario a Verona Sud, il Progetto Chipperfield per l’Arsenale, la consulenza a Bruno Gabrielli per la Variante… Ma poi non si concretizza nulla: le banche si tirano indietro, mancano risorse; a metà mandato i consiglieri sironiani passano all’opposizione… La vita si fa difficile per Zanotto e l’aria che tira in città, prima delle nuove elezioni, è di restaurazione.
2007. L’idrovora tosiana
Già: ma chi candidare? Fino all’ultimo giorno, il centrosinistra gongola, perché la Lega spinge per il giovane Tosi, a costo di andare da sola. Gli altri infatti, fanno quadrato sul democristianissimo Alfredo Meocci. In queste condizioni, Zanotto rischia di vincere ancora. Il direttore de “L’Arena di Verona”, Maurizio Cattaneo, scrive un accorato appello implorando l’unità delle destre contro Zanotto: non si era mai visto il quotidiano locale spendersi così. Evidentemente, gli industriali scaligeri, di Zanotto, non vogliono più sapere. E’ Berlusconi a decidere tutto, piombando di persona a Verona, l’ultimo giorno per la presentazione delle candidature, a fare trangugiare agli altri partiti il candidato della Lega. Bossi ringrazia.
La storia del doroteismo scaligero termina qui: risucchiato dall’idrovora tosiana, verrà risputato spremuto di ogni energia. Il format è quello delle “liste civiche”: un eccellente grimaldello elettorale. Si maschera il proprio candidato con un involucro ripulito dagli slogan truculenti e riverniciato con la freschezza dell’aggettivo “civico”; e si raccoglie, così, anche un voto benpensante, conservatore, spesso infastidito dagli eccessi faziosi, fiducioso più degli uomini che dei partiti. Il risultato, a Verona, è strepitoso: per la coalizione, che vince al primo turno; e per Tosi, che si pappa un bel 16,4%, lasciando dietro le liste di tutti i partiti alleati: 15,1, 13,0 e 12,0% rispettivamente per Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord. L’Udc, quinta, arriva al 4,6.
2007. Ciclone Tosi
Non c’è storia. Flavio Tosi, sostenuto dalla sua Lista, 16%, che supera tutte le altre e da tutta la destra veronese: Forza Italia, 15%; Alleanza Nazionale, 13%; Lega Nord, 12%; Udc, 4%, fa l’en plain con il 60% dei voti. Paolo Zanotto, con una coalizione ulivista, viene staccato di 27 punti percentuali.
Le cose vanno come vanno. Tosi è giovane, grintoso, duro. Va giù di brutto con la giunta precedente di Paolo Zanotto, buonista e politicamente corretta: via il campo nomadi del Chievo (e non ha tutti i torti); un bel bracciolo in mezzo alle panchine di tutta la città, così gli immigrati non ci dormono più; via il Centro sociale “La chimica” dalle materne Parini; no alla sosta per negoziare con le prostitute; no al consumo di cibo vicino ai monumenti… All’Istituto di storia della Resistenza ha la bella pensata di nominare un ex naziskin (Andrea Miglioranzi, lo stesso che qualche anno dopo gli farà fare una figuraccia da chiodi alla presidenza dell’Amia) ed una insegnante di Alleanza Nazionale… L’impressione generale è che sia arrivato il castigamatti.
Nel 2008 si becca addirittura una condanna per razzismo. Non si scherza più. Bossi, qualche anno dopo lo definirà così: “E’ uno str…: ha portato i fascisti nella Lega“. Tuttavia, la ricetta funziona: decoro, ordine, sicurezza…. Tosi diventa uno dei sindaci più apprezzati dai suoi cittadini. Solo che intorno a se crea il vuoto: o si sta con lui o si sta contro di lui. L’iperattivismo, il decisionismo, i toni sbrigativi vengono apprezzati da una generazione di militanti più giovani, che lo riconoscono come leader proprio perché appare lontano dai modi levantini del vecchio democristianesimo veneto. La Lega apprezza, ovviamente, ma si rende anche conto che Tosi, di voti, se ne prende tanti anche da solo: e li fa pesare eccome.
La nave va. L’ultimo sussulto moderato alle elezioni del 2012
Nel 2012, mentre la Lega Nord è travolta dagli scandali della famiglia Bossi, il faro tosiano continua a splendere dai media scaligeri ai talk show nazionali, complice Gad Lerner, mentre Stefano Lorenzetto gli dedica l’epinicio La versione di Tosi: Intervista con il leghista eretico. L’apparente declino psicofisico e giudiziario di Berlusconi fa presagire che il “barbaro sognante” veronese possa addirittura sostituire il cavaliere alla guida dei moderati italiani. A Verona, in maggio, si vota. La situazione politica veronese è molto condizionata da quella nazionale: al governo imperversa il prof. Monti e alcuni settori parlamentari – l’Udc di Pier Ferdinando Casini specialmente – spingono per riprodurre l’esperienza anche a livello locale. “La Lega è nelle peste e rischia di contaminare con i suoi disastri – devono avere pensato – così, in un colpo solo, possiamo indebolirli sul territorio e riprenderci una città importante e da sempre moderata come la bella Verona”. Cercano addirittura, senza trovarlo, un rapporto con il centrosinistra, con il Pd, che non ci sta e tiene duro su Michele Bertucco. Un’operazione troppo ardita per tutti, evidentemente. Come superare anni di reciproca ostilità, più che di diffidenza? Come pensare che sia possibile avvicinare la sinistra al mondo liberale? Viene da sorridere. Il Monti veronese? E’ Luigi Castelletti. Una candidatura coi fiocchi: avvocato di chiara fama, vicepresidente di Unicredit, presidente del Consorzio Zai, presidente della Fiera…: competenze, curricululm, rigore, esperienza, orrore per la demagogia… Bingo: quello che ci vuole. Basta con gli estremismi. Risultato? Affermazione trionfale di Flavio Tosi: 57,2%, sul trono di nuovo al primo turno.
Questo passaggio, probabilmente, ha segnato il destino dell’area moderata veronese per gli anni a venire: Forza Italia non ha più avuto il pallino in mano di niente, mentre l’Udc è scomparsa.
2012. Ciclone Tosi2
Tosi fa il bis: 57%, prosciugando tutto l’elettorato di 5 anni prima. La Lega ha mollato gli alleati e corre da sola per lui, che la umilia con la sua lista: 37% contro 10%. Alleanza Nazionale, che si sta sciogliendo seguendo la parabola di Gianfranco Fini, non c’è. Mentre il Popolo delle LIbertà presenta Luigi Castelletti: avvocato, presidente del Consorzio Zai, poi della Fiera, Vicepresidente di Unicredit…; una candidatura notevolissima, ma non arriva al 9%.
L’incubo del traforo
Il secondo mandato di Flavio Tosi vorrebbe essere meno propagandistico. Tuttavia, il conto ai suoi sostenitori di estrema destra deve pagarlo. L’Espresso denuncia la presenza nelle liste che lo votano di skinhead ed estremisti di Casa Pund; mentre Vittorio Di Dio, già finiano e ora tosiano (lo stesso che la Fiera di Verona licenzierà da responsabile delle relazioni esterne nel 2019 per un post omofobo) spiega come “E’ Tosi e non Silvio ad incarnare oggi i valori di destra” . Questo legame con la destra-destra è un problema che Tosi si tira dietro da sempre e che cozza con il piglio pragmatico. decisionista, “moderno”, che esibisce come amministratore. Una sorta di imbarazzante fardello. Tuttavia, gli isterismi anticomunisti e il suprematismo bianco hanno il fiato corto, sono errori; ricompattano le fila degli esagitati, è vero, ma a che serve, alla fine? Verona non è un paese di campagna, né un municipio della periferia romana: è una città operosa ed evoluta, dove girano un sacco di soldi e le aspettative sono più concrete e serie dei rituali nibelungici o della caccia agli ambulanti. E allora via coi grandi progetti. Ce n’è uno che non ha ideato lui, ma al quale ha dato l’inizio progettuale: il traforo delle Torricelle. Quello lungo, con i camion, le auto, quattro corsie e il ponte di Brooklyn sull’Adige.
Una valanga di quattrini; e una montagna di problemi. Tra crisi finanziarie che asciugano le disponibilità creditizie delle banche locali; polemiche al fulmicotone con il Comitato del No, richieste continue di modifiche della ditta aggiudicataria; manifestazioni pubbliche, pareri dell’autorità Anticorruzione, ricorsi al Tar, non se ne viene fuori. E dire che Tosi mai si era impegnato tanto. Si vede che ci tiene un sacco: va dappertutto, a Roma, a Venezia senza cavare il ragno dal buco. Non ci sono soldi. Nessuno vuole rischiare quattrini. Il project financing non è bancabile. Non un chilo di terra viene smossa. E’ uno smacco pesante.
La seconda bastonata: premiata ditta Giacino&Moglie
Come se non bastasse, l’altra bastonata – bestiale – gliela dà il suo assessore all’Urbanistica, l’avvocato Vito Giacino che il 17 febbraio del 2014 si fa arrestare e poi condannare, per corruzione, insieme alla moglie-collega alla quale faceva garantire consulenze legali in cambio di qualche firma. “Rimane un amico”, dirà il sindaco. Tosi cerca di buttarla in politica alludendo alla “strana tempistica” dell’operazione giudiziaria, ma non gli va dietro nessuno. Ora è proprio dura.
L’inchiesta, tuttavia, pur sfiorandolo inevitabilmente come sindaco, non lo tocca: “perché dimettermi”?, si chiede. L’imprenditore che ha denunciato le malversazioni non fa mai il suo nome. Ne esce pulito. E siccome ha la pellaccia dura, racimola sufficienti energie e orgoglio per tornare alla carica. E dire che gli dei sembrano avercela proprio con lui.
Il 2017. Destre contro
Torniamo un attimo indietro. Nel 2013 Matteo Salvini vince le primarie e diventa segretario della Lega. Tosi si è tirato fuori dalla gara: la Lega è ai minimi termini elettorali (4%), il suo futuro è assai incerto e il sindaco di Verona sembra l’unico politico leghista ad avere un futuro ad alto livello. Crea nell’autunno del 2013 la fondazione Ricostruiamo il Paese , per organizzare le primarie dell’intera coalizione di centro destra a livello nazionale; e, due anni dopo, Fare, un suo partito che si danna a ramificare nel Paese. Nel 2014, 100 mila preferenze per il seggio all’Europarlamento lo consacrano come l’homme prodige (45 anni) della destra italiana; ma lui rinuncia al seggio per lavorare al suo progetto: da Verona a Roma. Però non ha fatto i conti con Matteo Salvini, che salva il partito dall’estinzione, e, con una strategia elettorale di una rozzezza tanto stupefacente quanto efficace – felpe sloganate, antieuropeismo, xenofobia da Ku Klux Klan – lo rilancia e ne prende possesso in modo militare. Quando Tosi cerca di tenersi almeno il Veneto, candidandosi contro il governatore uscente Zaia, Matteo Salvini, il 10 marzo del 2015, lo espelle clamorosamente dalla Lega. Tosi si presenta lo stesso alle elezioni regionali, sostenuto da sette liste, ma rimedia una sonora sconfitta: è quarto sotto il 12%. E a Verona? E’ subito scissione. La Lega garantisce ancora il suo sostegno al sindaco sino a fine consigliatura – cosa direbbero gli elettori? Tosi è uno di loro: anzi, il migliore di loro…- ma il leghismo veronese si divide tra salviniani e tosiani. Accuse reciproche di tradimento, polemiche, sarcasmi, sconfessioni, minacce… La destra si è rotta.
Il calvario
E qui comincia il calvario. Tagliato fuori da obiettivi europei (ha rinunciato al seggio); nazionali (velleitario competere su questa scala con le sue organizzazioni fatte solo di relazioni); regionali (ha perso le elezioni facendosi superare da grillini e piddini), non gli rimane che Verona. I problemi sono due: la legge gli impedisce di candidarsi per la terza volta; e non ha più i partiti di destra e la “sua” Lega a fianco. Come fare? La soluzione al primo ostacolo è convincente, anche se tardiva: candida la compagna Patrizia Bisinella, senatrice, un profilo che piace, rassicurante e complementare.
La scelta gli costa però un altra ferita: il fedelissimo Fabio Venturi, già sorprendentemente a capo di Agsm (non ha alcuna competenza specifica), se ne va furibondo. Pensava che toccasse a lui! La soluzione alla seconda difficoltà è davvero problematica. Chi mettere assieme, a destra, per combattere la destra? Un paradosso. Come fai a smarcarti politicamente da quelli che fino a ieri erano con te in giunta? Come prendere le distanze da taluni che tu hai messo a capo di enti e aziende? Come dire “abbiamo altre idee” da quelle che fino a ieri hai sostenuto? Non è facile. E così Flavio Tosi inizia a setacciare l’ambiente e a raccattare tutto quello che per qualche motivo non sale sul carro dei probabili vincitori (gli ex amici): i migliori del suo seguito e poi segmenti grandi e piccoli di militanti nati da comitati di quartiere, da protagonismi periferici, da delusioni di vario genere, da ambizioni frustrate….
Non c’è un collante ideale o programmatico, ma personale: la fiducia verso il capo. La tattica? La speranza di un pateracchio solttobanco col Pd al ballottaggio. Oltre alla Lista Tosi, per Bisinella si schierano una serie di liste civiche: Ama Verona, Fare! con Flavio Tosi, Verona si Muove, Pensionati Veneti, Cristian Social Csu Union Veneta, la Voce della Gente. Tanti pezzi, zero idee: il programma è “continuiamo con Tosi” e “Fare, fare, fare”. Va bene, ma fare cosa e come? Un’armata Brancaleone, a dirla tutta, che tuttavia, grazie alla credibilità personale della candidata e all’abile regia tosiana, raggiunge il ballottaggio superando di un solo punto percentuale la candidata del Pd: 23,4 contro 22,4, strozzata, quest’ultima, dalla candidatura concorrente della Sinistra pura di Michele Bertucco, che si prende un bel 4,6%. Un notevole successo, quello della Bisinella, ad essere obiettivi. Ma al ballottaggio Sboarina lascia la senatrice a 17 lunghezze: 58,1 contro 41,8. Poteva andare diversamente?
2017. Tosi contro tutti.
Nel Marzo del 2015, Salvini espelle clamorosamente Tosi dalla Lega: la frattura investe anche i leghisti veronesi, che si dividono tra tosiani e antitosiani, tra questi ultimi, il “suo” assessore all’Ambiente Federico Sboarina. Due anni dopo, il sindaco non può ricandidarsi, perché la legge non consente un terzo mandato. Occorre un altro candidato di cui fidarsi: non sarà il fedelissimo Fabio Venturi, ma la compagna Patrizia Bisinella. Venturi, furibondo, lascia Tosi. L’avvocato Sboarina, con la sua lista Battiti, sostenuto da Lega e Fratelli d’Italia, stacca la Bisinella di 17 punti. E’ un bel risultato: Tosi era contro tutti, amici e nemici. Ma non ce la fa.
2022. Emancipare la destra da se stessa
E veniamo all’oggi. Anche in questa tornata elettorale – la quarta, per lui – la macchina politica tosiana sembra comporsi degli stessi ingranaggi. Alcune personalità senz’altro apprezzabili, ma poi di tutto, di più, se porta dei voti. Rambo Roberto Bissoli, indimenticato protagonista della tangentopoli veronese? E vai! I neo missini di Difesa Sociale? Perché no? Michele Croce? Forse. L’avvocato già nominato presidente di Agec da Tosi e poi dallo stesso defenestrato, ha costruito in questi anni un pacchetto di 4-5 punti da destinare all’uno o all’altro candidato di destra. E poi? E poi niente, questo il problema. E dire che le occasioni per caricare i suoi bazooka elettorali con granate più convincenti gliele avevano fornite i suoi amici di ieri e avversari di oggi.
La deriva populista-integralista
Negli ultimi anni, anche qui a Verona, la deriva populista salvinian-meloniana in salsa antieuropista, ipercristiana e filofascista è diventata insopportabile, per chi pensa che la politica sia una esperienza dura, ma dignitosa. Un ideologismo scomposto anche per una città abituata ad ingoiare di tutto come la nostra. L’immagine nazionale di Verona è diventata caricaturale: non una città di arte, bellezza ed imprenditoria internazionale, ma un covo di bigotti, omofobi e nostalgici. Perché, allora, non affondare il coltello? Perché non prendere le distanze con chiarezza da questo carnevale di sciocchezze emancipando la destra veronese da se stessa? Alcuni segnali Flavio Tosi li aveva manifestati: un cenno di autocritica sui propri furori giovanili; l’abbraccio europeista, la sensibilità verso i diritti civili, la “buona destra” di Filippo Rossi, le dissociazioni da Salvini…
Bene, tutto bene, ma poi tutto si è fermato lì. Il fatto è che Tosi sembra essere schiavo di se stesso, della propria storia. Come un ciclone, negli anni d’oro, l’ex sindaco ha spostato drasticamente a destra il baricentro politico della città, illudendosi di costruire una nuova solidità elettorale che gli avrebbe permesso di governarla con efficienza. Gli “effetti collaterali”, invece, sono stati micidiali. La Lega ha dimostrato di non sopportare tanta autonomia e personalità. Fratelli d’Italia, specialmente dopo la sua crescita, pure. I suoi stessi sodali e alleati, alla prova delle convenienze, hanno dimostrato scarsissima riconoscenza e fedeltà, come sempre accade quando l’adesione ad una causa si basa solo su ragioni personalistiche e non “politiche” nel senso pieno del termine. Mentre lo svuotamento elettorale del “centro”, la crisi drammatica di Forza Italia, ha finito per fargli venire meno il consenso di settori significativi del potere cittadino che hanno iniziato a dubitare sulle sue capacità di rappresentarne le istanze.
La destra che non c’è
Cosa avrebbe potuto fare Tosi di più allora e, specialmente, cosa potrebbe fare oggi? Secondo noi, riconoscere ed assecondare con ben altra decisione la nuova stagione politica in cui è entrata la città – ed il Paese – dopo la Pandemia e la riscossa europeistica. Disaffezione verso le istituzioni? Individualismo egoistico? Ci saranno ancora, ma la gente ha capito che senza istituzioni funzionanti e un ceto politico almeno decente, si finisce non solo fuori dal salotto europeo, ma anche molto male in casa propria. Pragmatismo? Orizzonte del giorno per giorno? Vox populi vox dei? Ma non diciamo sciocchezze. Proviamo a leggere quello che dicono industriali, finanzieri, accademici, professionisti, scienziati ormai da mesi: o si cambia o si muore. Le istituzioni non possono servire solo come salvagente occupazionale per sé. Emergenza sanitaria, emergenza economica, emergenza ambientale…: tutte assieme, tutte in una volta. Senza una prospettiva di medio periodo, senza competenze, senza un radicamento che non sia effimero, senza un ceto politico che sappia incrociare virtuosamente queste esigenze col proprio operato, senza dei legami con gli ambienti accademici ed intellettuali della città, non si va da nessuna parte.
Dalla sinistra della destra alla destra della sinistra
Si poteva pensare che il percorso di Tosi si facesse più ambizioso (e promettente) cercando esplicitamente un raccordo con quell’area “liberal-moderata” di interessi politico-culturali e socio-economici lasciata completamente allo scoperto dall’evoluzione del sistema politico veronese che abbiamo descritto. Un’area che va dalla sinistra della destra alla destra della sinistra, nella quale stanno la maggiore parte di quei 6 cittadini su 10 che al ballottaggio del 2017 non hanno trovato alcun buon motivo per andare a votare. Un’area di “centro”, partecipata da ampi settori dell’opinione pubblica, del ceto medio, dell’imprenditoria, del mondo professionistico, dell’accademia. Un’area che non trova da anni un riferimento politico convincente; che a volte esprime questo disagio cercando forme di coordinamento tanto suggestive quanto velleitarie, come in occasione del Convegno “Un progetto da condividere perché Verona riparta”, l’anno scorso.
Cercasi segnali di vita. Un Luigi Castelletti del 2022
Certo, a parziale giustificazione delle scelte tosiane, quest’area dovrebbe dare dei segnali di vita autonomi. Dovrebbe raccogliere le forze, farsi coraggio, mettere assieme anche trasversalmente delle persone, promuovere un paio di convegni, dimostrare di esistere, scommettere su se stessa, esporsi. Rischiare un cincinello. E finora nulla si è visto, sotto un profilo politico. I moderati veronesi sembrano da alcuni anni guardare con rassegnazione, come fossero ipnotizzati, al deprimente declino della città, spenta sull’altare delle ambizioni di personaggi che credono di essere grandi politici e sono piccoli affaristi. Se nessuno si muove, nessuno potrà poi lamentarsi.
Nel 2012, Forza Italia ebbe il coraggio di investire su Luigi Castelletti: andò male, è vero, ma quella sconfitta non avrebbe dovuto giustificare l’abbandono di ogni protagonismo politico. Andò male perché solo unendosi due debolezze possono diventare una forza. Ieri come oggi. L’ossequio agli equilibri nazionali e regionali sta castrando le possibilità di un’azione politica autonoma, senza la quale il moderatismo veronese non sembra avere altro futuro che l’estinzione. Sembra ben consapevole di ciò un politico esperto come il senatore Massimo Ferro, ma le conseguenze della sua analisi dovrebbero essere ben più ficcanti di un semplice appello all’unità del centrodestra. Vale ancora la pena, oggi, davanti agli scenari post pandemici, agli orizzonti europei, agli imperativi ambientali e tecnologici, alla necessità di investire tanto e bene, di consegnarsi, nella scelta delle strategie politico-elettorali, alla “sacra” dicotomia destra-sinistra, come se tutto fosse come prima? Quando, se non ora, le energie migliori della città dovrebbero unirsi, superando obsoleti schemi mentali, in una lungimirante collaborazione comune? Cosa consiste fare politica se non pensare al futuro?
La variante di centrosinistra
Diversamente, facciamo fatica a credere che la destra tosiana, così com’è, possa arrivare da sola al ballottaggio contro il candidato unitario della destra sboariniana. Bisognerebbe che il centro sinistra, diabolicamente, perseverasse nel suicidio, come da tradizione, non convergendo su un candidato unico, come accadde nel 2017. Se non sarà così (e non sembra che così debba essere); se il centrosinistra individuerà un candidato credibile anche per il centro dello schieramento, sostenuto da ambienti e personalità di quell’area; se il centrosinistra riuscirà a dimostrare, nella sua proposta programmatica, di avere finalmente una “visione” della città entro la quale incanalare le energie (e non di essere semplicemente una giustapposizione di sigle), la possibilità di interrompere la quindicennale egemonia della destra veronese potrebbe diventare realtà. E sarebbe allora il centrosinistra, paradossalmente, a trovare la destra che non c’è.
Analisi molto interessante e condivisibile. Verona è tradizionalmente una città conservatrice, “una città in fondo a destra” mi pare si intitolasse un bel libro di qualche anno fa. Speravo molto nella divisione del centro destra nelle ultime elezioni, invece la sortita di Bertucco lo ha portato sì in Consiglio, ma ha tolto il ballottaggio al centro sinistra. Chissà se il prossimo anno sarà diverso.
Grazie per il commento! AB
Ringrazio La città che sale e l’estensore dell’articolo,
Decenni di vita politica veronese in una corsa a perdifiato. Non è facile , merita più di una attenta lettura.E fare ulteriori chiose poi.
Una premessa.
Verona viene rappresentata come una città di Destra.
Io sono nato e cresciuto in una città che ha avuto una pletora di Sindaci democristiani , con annesse giunte di centro sinistra .
La Destra poteva contare in Comune di una vasta rappresentanza composta tra PLI e MSI da quattro consiglieri quattro.
Poi tangentopoli : e qui il discorso cambia .
I sindacati , vere cinghie di trasmissione del dialogo e non solo con la società civile iniziano a svolgere una funzione diversa .
Forza Italia assolve tutti , da Rambo Bissoli a Ceni e sdogana bottegai missini ,liberali e repubblicani pentiti , Socialisti dalla memoria corta.
Insomma la classe politica post tangentopoli rinunciando a scelte etiche , che in politica dovrebbero fare la differenza ( penso , senza andare distanti a Gozzi , a Zanotto ma anche Erminero, Guerrini, Bragaia Margotto, lo stesso Casali padre, abile Ingegnere della Curia ma anche generoso amministratore ) passano a motivazioni di mero e indiscriminato potere .
Spunta la Lega : e tutti giù a ridere . Sono ignoranti , barbari , selvaggi.
Credo che i problemi derivino da :
-Incultura politica profonda
-Ricerca di un potere personalistico non più personale
-Una classe imprenditoriale e sindacale impropria.
-Una Curia che non capisce e che si chiude attorno a figurine , tipo Zelgherchilegge .
Se Todeschini è nominato presidente di Agsm lithning non bisogna stupirsi: è il messaggio rivelatore : tutti possiamo aspirare a un ruolo importante .
Casali figlio è il dramma : ma come , inutile vicesindaco , pessimo amministratore , gia trombato alle ultime regionali: diventa un presidente in sedicesimi di AGSM ?
Arriviamo di corsa a oggi : da una parte un campionario di orrori , gente che un tempo a fatica avrebbe trovato posto nelle circoscrizioni e che invece si ritrova sugli scranni del Consiglio Regionale, il carducciano Corsi, Il condannato Polato.
Incapaci culturalmente e scientificamente di pensare a una città futura. Come si direbbe : No i ghe riva.
Preoccupati di riempire il cassetto quotidiano della bottega.
E a sinistra? Gente dedita a un onanismo quotidiano .
Diceva bene Vittorio Zucconi: se la sinistra dovesse fare un plotone di esecuzione lo farebbe circolare.
Solo alcuni esempi: il gruppo consigliare del Pd è debole : bene capogruppo Carla Padovani che persino al bar da Corsini sanno che non c’entra nulla col PD.
Non c’è un Segretario provinciale per due anni ? Sotto a chi tocca . Eccolo uno nuovo che a Verona ci spiega la sconfitta di Biden che neanche Limes. Uno che ha fatto suo il detto: perchè stare fermi quando si può stare immobili.
Hanno quattro onorevoli? Non saranno rieletti ? Non facciamo attività a Verona . Tutti a scavare fosse a Roma e sacchi alla finestra.
E la Bigon !! Ma come coalizione distrutta , PD ai minimi e lei esulta per essere ostaggio per cinque anni di Joe Formaggio.
Ci sarebbe Michele e palla lunga e pedalare.
E poi Tommaso , giovanotto di antico lignaggio democristiano con sempre una iniziativa che precede le sue riflessioni.
E allora se questi sono i tratti di una sinistra che con l’Università non pensa , che dopo avere per millenni subito la devastazione dei “poteri ( p minuscola) forti” non capisce cosa sia successo in Cattolica, che cerca appoggi con il Presidente neo eletto degli Industriali , talmente solo da scegliersi OTTO vicepresidenti;bene se questi sono i tratti della sinistra, possiamo capire come andrà alle prossime comunali : perchè tra l’originale e la sua copia , quei pochi che ancora votano sceglieranno sempre l’originale.
Grazie per l’argomentato commento. Credo anch’io che una serie di vizi originari – non solo a Verona, d’altra parte – derivino dal modo in cui si uscì (se possiamo utilizzare questo verbo…) dalla tangentopoli locale. Prima o poi ci torneremo…!AB
Sono quasi 20 anni che Verona è ferma e che la sua classe politica tira a campare, completamente priva di un’idea di futuro. Penso che prima o poi ne pagheremo il conto. Lascia stupefatti (ma non troppo) la mancanza di consapevolezza dei veronesi