La finanza perduta. Il caso veronese tra logiche di mercato ed opportunità territoriali
Comunicato stampa del 7 marzo 2021
C’erano una volta tre salvadanai…: la Banca Popolare di Verona, la Società Cattolica di assicurazioni, la Fondazione Cariverona. E i veronesi, qualcuno ricco, qualcuno meno, amavano inserirvi i loro risparmi; alcuni li utilizzavano per i loro progetti commerciali, riempiendo di capannoni il territorio e creando tanta ricchezza. Altri vi si appoggiavano per governare o dare questa impressione. E la città cresceva, cresceva…
La storia, tuttavia, non è durata a lungo: dopo un ventennio di tormentata espansione, il miracolo finanziario scaligero, che aveva portato le tre gemme finanziarie veronesi sulla scena nazionale, sono entrate in una crisi forse irreversibile. Due di esse hanno perso la leadership: la Banca Popolare per Milano; la Cattolica per Trieste; mentre Cariverona ha dovuto ridimensionare drasticamente il suo ruolo. La finanza scaligera di un tempo non c’è più. Come è potuto accadere? Cosa hanno pesato di più? La crisi dei subprime americani o le ambizioni umane? Lo spread o le carenze di cultura manageriale?
Si cercherà di rispondere a questa domanda Lunedì 15 marzo prossimo, alle 20.45, in un webinar organizzato da La città che sale in occasione della pubblicazione del volume di Ivano Palmieri Schei in fumo. Il rogo della finanza veronese, Cierre edizioni 2021. Assieme all’Autore, ci saranno Gian Pietro Dal Moro, deputato del Partito Democratico; Massimo Ferro, senatore di Forza Italia; Roberto Ricciuti, docente di Politica economica presso la nostra Università. Introdurrà il presidente dell’associazione culturale Alberto Battaggia
Quella dei tre istituti è una vicenda complessa. La natura istituzionale originaria di Banca Popolare di Verona, Società Cattolica di Assicurazioni e Fondazione Cariverona – due società cooperative ed un ente morale – ha fatto assumere alla loro attività dei caratteri specifici, sintetizzabili nel fortissimo radicamento territoriale e, in un caso, anche religioso.
Le vicende gestionali si sono perciò sistematicamente intrecciate con le dinamiche economiche, sociali e politiche della città e della provincia, in un reciproco, intenso condizionamento. Contemporaneamente, le tre compagnie hanno vissuto, per almeno un ventennio, una crescita dimensionale che le ha portate a diventare protagoniste sulla scena finanziaria nazionale ed internazionale.
Nel frattempo, gli imperativi commerciali e normativi dati dall’epoca della “globalizzazione” hanno imposto a tali istituti scelte che, anno dopo anno, ne hanno fatalmente mutato natura, imponendo loro le forme e gli strumenti dei soggetti capitalistici più avanzati, dalla quotazione in Borsa alla qualificazione giuridica di Spa.
Per lo stesso motivo, esse hanno risentito pesantemente di tre fra le più gravi crisi economiche e finanziarie del secondo dopoguerra: quella del 2007-2008 originata dal collasso del sistema bancario americano; quella dei debiti sovrani di alcuni stati europei fra i quali l’Italia nel 2011; quella attuale innescata dal Covid.
L’interpretazione delle vicende gestionali di questi ultimi due decenni riguarda, perciò, non solo i profili professionali di chi ha gestito gli istituti, l’opportunità di certe scelte, i risultati economici di questo o quell’investimento, ma anche i pesantissimi condizionamenti congiunturali.
Rimangono incontestabili due dati di fatto: chiunque abbia investito pochi anni fa un certo capitale in uno di questi soggetti, se lo ritrova ora in buona parte perduto. Mentre quei legami che avevano stretto tanti imprenditori alle “loro” banche in un legame percepito come proprio di una comunità, non c’è più.
E’ legittimo perciò che si cerchi una prima valutazione critica di queste vicende. In questo quadro, emerge il tema della “veronesità”: una categoria da sempre sospesa tra il mito (ma non per questo meno influente) e la realtà concreta. Ha ancora senso richiamare questa categoria in un mondo innervato da interessi, tecnologie, condizionamenti planetari? Quando Verona guarda al suo futuro deve pensarlo con gli occhi di un cittadino del Mondo – con tutte le sue chance e i suoi rischi – o con quelli di chi vuole difendere a tutti i costi consuetudini culturali e sociali di valenza identitaria?