Sicuri di imparare
La scuola nel tempo del Covid. Tavola rotonda
Mercoledì 10 febbraio 2021
Hanno partecipato
Luciano Butti
avvocato, docente di Diritto ambientale, Unipd
Patrizio Del Prete
vicepresidente Anief Veneto
Enzo Gradizzi
dirigente scolastico dell’ITS Lorgna-Pindemonte
Licia Landi
docente Tecnologie didattiche, Univr
Alessandro Zivelonghi
docente presso ITS Lorgna-Pindemonte
Ha condotto Alberto Battaggia,
presidente de La città che sale
Il settore dell’istruzione scolastica ha pesantemente risentito della emergenza pandemica in corso. In modo particolare, date le misure adottate, ne ha sofferto il ciclo dell’istruzione secondaria superiore. Da pochi giorni, il governo ha deciso di riaprire le scuole alla frequentazione degli studenti, secondo modalità orarie di “didattica integrata” che dovrebbero riguardare all’inizio il 50% del monte orario, fino ad arrivare al 75 %, pandemia permettendo . Altre misure hanno riguardato lo scaglionamento degli orari di ingresso e i trasporti.
Da una parte, ci chiediamo se il rientro in aula stia avvenendo garantendo davvero la sicurezza degli studenti; dall’altra, se le esperienze di didattica digitale , dopo diversi mesi di esperienza, possa rimanere una risorsa significativa per garantire gli obiettivi di apprendimento ordinari”.
Questa tavola rotonda si propone di analizzare la situazione da vari punti di vista: sanitaria, giuridica, didattica, organizzativa, sindacale.
Luciano Butti ha fatto parte del gruppo di avvocati che nei giorni scorsi, grazie ad un ricorso vincente al Tar, ha costretto la Regione Campania a riaprire le scuole del ciclo primario ai bambini. Patrizio Del Prete, sindacalista, è vicesegretario regionale dell’Anef Veneto. Enzo Gradizzi è il dirigente scolastico dell’ITS Lorgna-Pindemonte. Licia Landi, già docente di Italiano e latino al Liceo Maffei, è attualmente professore a contratto di Tecnologie didattiche presso Univr. Alessandro Zivelonghi, ingegnere, docente presso l’ITS Pindemonte, è autore di uno studio sui pericoli connessi alle forme di contagio Covid tramite aerosol.
” Possiamo dire che i ragazzi, grazie a questi sistemi, non sono stati abbandonati e hanno mantenuto un contatto costante con la scuola”
“I ragazzi sono stati molto bravi ad adeguarsi alla situazione. Ed anche i docenti”
La città che sale. Preside Gradizzi, quali sono stati, sinteticamente, i principali problemi organizzativi che avete dovuto affrontare nella prima fase della pandemia, da marzo in poi?
Gradizzi. L’anno scorso l’emergenza ed il lockdown hanno colto di sorpresa tutta l’organizzazione scolastica. Il primo mese è stato il più difficile. I docenti hanno cercato di adottare la didattica a distanza, nel primo mese, come hanno potuto. Nell’istituto non c’erano tutte le competenze necessarie, che sono state perciò costruite sul campo. I docenti si sono aggiornati attraverso webinar seguiti on line e grazie al supporto del team digitale [struttura di docenti del’istituto introdotta dalla legge sulla “Buona scuola” del governo Renzi, ndr], che ha avuto una funzione fondamentale. L’altro problema che si è presentato è stata la penuria di strumenti tecnologici – connessioni adeguate e dispositivi – di cui soffrivano molti ragazzi, che abbiamo fronteggiato grazie alle risorse straordinarie fornite del ministero. Possiamo dire che i ragazzi, grazie a questi sistemi, non sono stati abbandonati e hanno mantenuto un contatto costante con la scuola. Tuttavia, gli apprendimenti, sotto diversi aspetti, sono risultati deficitari, tanto che il Miur ha invitato ad individualizzare i piani di apprendimento, per giustificare queste carenze, e a consentire in ogni caso il passaggio alle classi successive, ad eccezione dei casi di abbandono volontario della frequentazione scolastica.
Successivamente, in estate il Miur vi ha fornito delle indicazioni per facilitare il rientro a scuola dei ragazzi in sicurezza e permettere una didattica tradizionale. Le avete trovate adeguate?
Gradizzi. Abbiamo trascorso l’estate a misurare con attenzione spazi e distanziamenti, a regolamentare le aperture delle finestre… Abbiamo dovuto rinunciare all’aula magna, all’aula docenti, ad un laboratorio di informatica in modo da sfruttare al meglio le superfici disponibili in istituto per gli studenti. Attualmente, il 50% dei ragazzi, a turno, mantenendo interi i gruppi classe, frequentano le lezioni. Seguendo l’accordo concluso al tavolo prefettizio con le aziende dei trasporti, l’orario è differenziato: alle 8.00 e alle 9.30. Dei problemi sono rimasti in due giornate lunghe anche abbiamo – lunedì e mercoledì – per il rientro a casa del secondo turno nel tardo pomeriggio, visto che non sono state allestite corse ulteriori in quegli orari.
Come stanno gestendo la didattica i suoi insegnanti?
Gradizzi In modo tradizionale, frontale. Data anche la limitatezza estrema dei nostri spazi non è stato possibile promuovere forme di apprendimento collaborativo, ad esempio, spostarsi da un’aula all’altra…; e poi la normativa implica una grande disciplina, che nuoce a forme più partecipate di didattica. I ragazzi sono stati molto bravi ad adeguarsi alla situazione. Ed anche i docenti.
Avvocato Butti, secondo lei le nuove norme hanno permesso di rispettare il dettato costituzionale in merito al diritto alla salute e al diritto all’istruzione?
Butti. La costituzione definisce quello alla salute un “diritto fondamentale”, ma questo non significa che esso sia superiore ad altri: se fosse così dovremmo vietare molte industrie, non porre limiti alla spesa sanitaria… No, la costituzione invita a bilanciare una serie di diritti diversi, tra i quali quello all’istruzione. Sotto un profilo scientifico, dobbiamo riconoscere che non sappiamo ancora cosa accadrà. Basti pensare alla pressione selettiva di farmaci e vaccini che potrebbe portare a mutazioni del virus con esiti imprevedibili. In questa situazione, l’utilizzo continuativo ed esclusivo della didattica a distanza, particolarmente per i bambini più piccoli, secondo tutta la letteratura internazionale, porta ad effetti tragici. Dico utilizzo “esclusivo”, non integrato con altre forme di didattica; e per i bambini. Tra quegli effetti, l’incremento delle diseguaglianze: per mancanza di dispositivi; per il lavoro delle mamme che impedisce la cura dei figli funzione ancora centrale nei ceti disagiati; la dispersione oraria… In due casi, alla domanda. Il primo è quello della Campania, dove, dal 4 marzo 2020, le scuole del ciclo primario sono rimaste sempre chiuse, fino a quando, lo scorso gennaio, un nostro ricorso al Tar non ha costretto la Regione Campania alla loro riapertura. Va detto, con rammarico, che il nostro ricorso è stato tutt’altro che popolare tra i genitori, soprattutto nei ceti disagiati. Tanto che molti genitori non li hanno fatti rientrare nonostante la sentenza. Il secondo caso riguarda la Lombardia. Qui, la Regione, negli stessi giorni, mentre inaspriva la normativa, per motivi di sicurezza, per le scuole, chiedeva di passare da area arancione a gialla, al fine di aprire gli esercizi commerciali o gli impianti sciistici. Abbiamo presentato il ricorso perché non è accettabile che la scuola sia il settore più penalizzato: il primo che chiude e l’ultimo che apre.
“In questa situazione, l’utilizzo continuativo ed esclusivo della didattica a distanza, particolarmente per i bambini più piccoli, secondo tutta la letteratura internazionale, porta ad effetti tragici”
“Non sono state adottate tutte le misure necessarie”
“Il Miur ha invitato a fare i calcoli basandosi sulle superfici; ma la nuvola di contagio va valutata sulla base dei volumi. “
Al professor Zivelonghi chiederei, alla luce delle ricerche scientifiche da lui effettuate sui rischi di contagio derivanti dall’aerosol, se ritiene che le nuove indicazioni ministeriali assicurino la sicurezza dei discenti e dei docenti.
Zivelonghi. Solo in parte. Non sono state adottate tutte le misure necessarie. La mia ricerca ha studiato gli effetti derivanti dalla presenza di un contagiato asintomatico in un’aula. Va detto che questa situazione, oggi, a Verona, ha una probabilità di verificarsi piuttosto bassa, rispetto all’inizio di gennaio. La variabilità di questo fenomeno è molto accentuata a livello territoriale e addirittura locale, istituto per istituto. Questo va tenuto presente e bisognerebbe tenerne conto, per adottare i provvedimenti più opportuni. Consideriamo le indicazioni relative al 50% degli alunni. Si è lasciato all’autonomia delle singole scuole la scelta sul modo di interpretare questo parametro, di impostare una strategia di rotazione degli studenti. Si spezza il gruppo classe in due, lasciandone stabilmente a casa metà; o lo si mantiene integro, quando il suo turno ne prevede la presenza in aula? Secondo me, questo è stato un grave errore. Il rischio di contagio, a parità di volumi d’aria, ne risente immediatamente. Il Miur, peraltro, ha invitato a fare i calcoli basandosi sulle superfici; ma la nuvola di contagio va valutata sulla base dei volumi. In un istituto come quello dove lavoro attualmente, le aule sono altissime: questo dimezza i rischi. E viceversa. Le valutazioni devono essere fatte sulla base del concreto contesto al quale ci si riferisce. In ogni caso, tutti i calcoli di rischio si basano su grandezze – le curve di contagio – che possono variare sensibilmente con il semplice trascorrere di alcune settimane o addirittura giorni. Altrettanto carenti le indicazioni sulla ventilazione, che necessitano invece procedure assai rigorose e non vaghe. Occorre precisare esattamente “quante” aperture delle finestre, per “quanto” tempo, in relazione alle volumetrie e al numero dei ragazzi presenti… Infine, bisognerebbe moderare la voce quando l’insegnante spiega, utilizzando magari un microfono.
Inviterei la prof.ssa Landi a collegarsi all’intervento precedente: le forme di “didattica digitale integrata” indicate dal Miur non potrebbero adattarsi felicemente alla situazione suggerita dal prof. Zivelonghi, ossia lo spezzettamento del gruppo classe in due parti che ruotano tra didattica in presenza e didattica a distanza?
Landi. Questa soluzione è senz’altro prevista dalle linee guida della “Didattica digitale integrata” diffuse dal ministero, tra le tante declinazioni possibili di questo concetto. Ora, questa ipotesi è senz’altro vantaggiosa sotto il profilo della sicurezza, ma è uno degli scenari meno facilmente gestibili dai docenti. Perchè occorrerebbe sia impostare sia un insieme di attività da proporre in aula, sia quelle da prevedere per i ragazzi quando lavorano a casa. Già nei mesi scorsi, quando si lavorò con la didattica a distanza, il limite principale di quella esperienza fu la frontalità che fu trasferita dal mondo fisico a quello dell’on line: nella situazione suggerita, probabilmente, esso si ingigantirebbe e i ragazzi potrebbero sentirsi ancora più distanti. In realtà, l’unico modo per adottare con successo queste modalità organizzative è un cambiamento radicale nelle strategie di insegnamento-apprendimento, prevedendo per i ragazzi che lavorano a casa delle attività specifiche, senza relegarli alla funzione di spettatori passivi di quello che avviene a scuola, magari con la minaccia della valutazione che li attende al rientro in aula. Il fulcro della questione, in questi scenari, è la necessità che lo studente sia sempre più protagonista, parte attiva e consapevole dell’apprendimento.
Si ripropone perciò quello che già era emerso nei mesi scorsi a proposito della didattica a distanza: senza un impianto didattico metodologicamente specifico, la telematica ci aiuta solo relativamente. Lo scimiottamento online delle attività in presenza non consente di raggiungere gli obiettivi che ci si propone.
Landi. Certo. Ed ingigantisce i problemi che già erano emersi ben prima della pandemia sulla didattica in presenza frontale. La frontalità va bene in certi momenti, ma la lezione frontale non può, oggi, essere esclusiva. L’accesso ad una massa enorme di informazioni accessibili on line, demotiva gli studenti all’ascolto dei loro docenti. E quindi anche il carisma del docente si attenua; al contrario, esso si rafforza se il docente diventa il promotore di ricerche e approfondimenti condotti utilizzando le risorse della rete. La pandemia ci ha portati ad un punto di non ritorno anche nell’impostazione del lavoro didattico: c’è chi l’ha compreso e chi non l’ha compreso.
“L’unico modo per adottare con successo queste modalità organizzative è un cambiamento radicale nelle strategie di insegnamento-apprendimento”
” La pandemia ci ha portati ad un punto di non ritorno anche nell’impostazione del lavoro didattico: c’è chi l’ha compreso e chi non l’ha compreso”
“I docenti italiani, rispetto alla didattica a distanza hanno mostrato grande pazienza; anche perché non tutti i dirigenti scolastici hanno dimostrato di essere degli innovatori”
Prof. Del Prete, la prof.ssa Landi ha posto con forza l’esigenza di una profonda innovazione nel modo di concepire le attività scolastiche, il rapporto con i discenti, le competenze metodologiche e tecniche dei docenti… Che ruolo ha giocato e gioca il sindacato – generalizzando: non necessariamente l’Anief – , in questa partita? A me sembra che nella tradizione sindacale italiana e per natura, i sindacati siano sostanzialmente una forza conservatrice e che questo cozzi con queste sfide. Cosa ne pensa?
Del Prete. Una premessa. Nel nostro ordinamento ci sono previsioni di legge anche molto avanzate, che però non sono poi messe in pratica. Penso al sostegno, per esempio: le esigenze reali delle scuole non sono mai soddisfatte, alla fine. In tema di innovazione didattica, va detto che i docenti italiani, rispetto alla didattica a distanza hanno mostrato grande pazienza; anche perché non tutti i dirigenti scolastici hanno dimostrato di essere degli innovatori: al contrario. Spesso costoro, anche prima della pandemia, al posto che supportare i loro docenti in queste nuove metodologie le hanno affossate, ostacolate. Altro problema: le risorse disponibili. Anche nei recenti Dpcm, ad ogni scuola è stata assegnata la somma di 1200 euro per dotarsi di una piattaforma didattica! Pensate quanto incide questo dato nelle aree del Paese più svantaggiate. Altro problema: nella scuola italiana l’età media è tra le più alte, in Europa: questo non favorisce un atteggiamento innovativo nella professione…Anche per la formazione dei docenti si investe troppo poco. Parliamo della “carta docente”, che assegna ai docenti in ruolo 500 euro da spendere in beni o servizi funzionali all’insegnamento. Perché non estenderli anche ai precari?
Mi permetta, Del Prete: la formazione professionale, per i docenti, non è obbligatoria. Questione de-ci-si-va, per promuovere una cultura orientata all’innovazione. Torniamo alla domanda iniziale: il sindacato come si pone davanti alle esigenze di rinnovamento profondo che abbiamo davanti a noi?
Del Prete. Io credo che il sindacato sfavorisca questa evoluzione; ma molto dipende dalla visione generale che si vuole avere della scuola, come la si concepisce.