Renzi oltre Renzi. Anche a Verona
Una valanga di critiche e di ammissioni. Uno spazio politico trasversale tutto da conquistare
Abstract. Renzi non va giudicato con categorie psicoanalitiche, ma politiche. Gli stessi che lo criticano elencano-le iniziative discutibili dei giallo rossi, dal mantenimento di Quota 100 e del Reddito di cittadinanza, alla gestione della pandemia all’improponibile Recovery Fund. Renzi è così discusso perché ha rappresentato uno spazio politico-elettorale riformistico trasversale. Anche a Verona sarà sindaco chi saprà parlare alla sinistra della destra e alla destra della sinistra.
Non siamo all’Armageddon, a causa di Renzi. I provvedimenti indispensabili all’emergenza, dai DPCM, ai decreti “Ristori”, al “Recovery” saranno comunque firmati. E allora, perché tutti gli stanno addosso? Gli assalti di questi giorni utilizzano in genere categorie psicoanalitiche: ipertrofia del’Io, narcisismo, complesso di Peter Pan.. Poi gli stessi Torquemada, sui giornaloni che contano, ricordano, riscoprendo l’analisi politica, tutto quello che il governo giallorosso ha fatto trangugiare alla ragione, se non agli italiani: il demagogico dimezzamento della rappresentanza parlamentare; il mantenimento di Quota 100; lo sciagurato Reddito di cittadinanza (che confonde l’indispensabile reddito di povertà con le politiche attive delle lavoro..); il fallimento dei “navigator”; la rinuncia ai 36 miliardi del Mes (che vincola gli investimenti alla sanità in piena pandemia, pensa che scandalo!) una politica estera adolescenziale (basta leggere gli editoriali di Sergio Romano), l’inedito controllo diretto del presidente del consiglio sui servizi segreti; e poi, la gestione traballante della pandemia, la tragicomica gestione dei servizi scolastici, i funambolici rapporti con le Regioni; e, infine, un “Recovery Fund” irricevibile dagli uffici della UE per 209, dicasi 209 miliardi, per di più gestiti da un’ulteriore burocrazia extraistituzionale.
E allora? Ha fatto bene Renzi? In politica l’unico metro per giudicare un’iniziativa è l’efficacia: non la morale, non l’estetica. Se nei prossimi giorni avremo un governo migliore, quale sia la formula, – Conte ter, governo istituzionale, altro… – sì. Altrimenti, no. Tuttavia, vada come vada, anche in questa occasione, le accesissime reazioni alle sue iniziative hanno confermato un dato politico di fondo. Oltre la sua persona, il suo coraggio o la sua temerarietà, c’è uno spazio politico-elettorale ampissimo, dalla destra della sinistra alla sinistra della destra, orfano di riferimenti, costretto a dividersi tra leadership improbabili. In questi anni, hanno guardato a lui, lo hanno votato anche in massa, sia chi lo guardava come il possibile erede di Berlusconi, eterno liberale mancato; sia chi non ne poteva più di un partito – il PD – nato per modernizzare una società bloccata dal conservatorismo e finito per diventarne parte integrante. Sono stati delusi? Lui non è stato all’altezza? Forse, ma le esigenze politiche che ha cercato di rappresentare sono tutte lì. Il riformismo è un bisogno assolutamente trasversale. E’ una situazione che si osserva anche nella nostra città. Nel ballottaggio a sindaco del 2017, solo il 40 per cento dei veronesi partecipò. Il prossimo, nel 2022, lo vincerà chi in campagna elettorale avrà saputo parlare – oltre Renzi, nonostante Renzi – a quei potenziali elettori di destra e di sinistra che in quell’anno votarono turandosi il naso, non trovando altro; o che non votarono affatto. I travagli della destra scaligera, ormai divisa in due blocchi, testimonia di un affanno profondo, di un sistema di rappresentanza degli interessi sociali che è andato in crisi, che chiede con forza uno sbocco sensato. Mentre il centrosinistra piddino, alla costante ricerca di una identità, tra velleitarie ambizioni di governo e improduttive suggestioni di testimonianza, non può pensare di trovarla cercando l’ennesimo coniglio nel cappello: deve prima diventare quello che è.