Un oggetto misterioso
Lettera pubblicata su “L’Arena di Verona” del 26/11/20
Bella e improbabile. In pole position per la vittoria finale, Verona è stata esclusa perfino dalle prime dieci: uno smacco, c ‘è poco da dire. Cosa è successo? La città che sale lo ha chiesto venerdì scorso a quattro persone che di progettazione culturale sanno davvero qualcosa, vuoi per l’attività accademica, come Luciano Butti e Gian Paolo Romagnani; vuoi per la consulenza alle amministrazioni (tra cui la selezionata Volterra), come Massimiliano Zane; vuoi per le esperienze nella gestione di prestigiosissime istituzioni culturali, come Paola Marini. Il video è a disposizione al https://youtu.be/z_X4ey7MzVQ.
Innanzitutto, fare i compiti. “La prima operazione da svolgere – ha osservato Butti – doveva essere la lettura attenta del bando del 2022 ; e anche dei verbali delle edizioni precedenti, per capire quali logiche hanno premiato città come Mantova o Parma”. La seconda esigenza, insoddisfatta, è stata la condivisione. “Coinvolgere la cittadinanza significa costruire, dal basso, senza sapere, all’inizio, cosa emergerà alla fine”. Sindaco e assessore, in questi ultimi giorni, hanno insistito sul lungo elenco di istituzioni e associazioni consultate. Ma c’è un equivoco. Un progetto che deve esprimere l’identità in progress della città, non può risultare dalla elencazione burocratica di decine e decine di schede programmatiche raccolte qua e là dai soggetti più disparati. “E’ mancato un vero tavolo di confronto – ha sottolineato Romagnani – la costituzione di gruppi di lavoro che permettessero alle istituzioni di inserire le loro proposte in un progetto organico”. Un lavoro improvvisato. “Si è puntato molto sull’urbs e poco sulla civitas” – ha confermato Paola Marini – “più alla città di pietra, che alle forze culturali vive della città”. La museologa ha poi ricordato l’assenza, nel progetto, di importanti realtà come il Conservatorio; o gli Amici dei Musei di Verona, “da anni concreti collaboratori nella gestione del patrimonio museale”. Una conferma alle analisi degli ospiti veronesi è venuta dal veneziano Massimiliano Zane: “Qualsiasi progetto che metta in gioco l’ìdentità di una comunità comporta il coinvolgimento attivo, fin dal primo momento, della cittadinanza, anche attraverso una comunicazione sistematica”. Il Dossier veronese, invece, è risultato un oggetto misteriosissimo per tutta la durata della sua elaborazione. Sul piano dei contenuti, lo studioso ha osservato che “il bando insisteva molto chiaramente sull’innovazione e la sostenibilità”: caratteri che non emergono dal Dossier. Escluso, invece, che la giuria possa essere stata condizionata dagli episodi che in questi anni hanno tristemente esposto la città ai media nazionali, come le mozioni comunali omofobe, i saluti fascisti dei consiglieri, le nostalgie almirantiane o l’iperintegralista “Convegno della famiglia” di due anni fa: “I sette giurati – ha assicurato Zane, d’accordo con la Marini – hanno sicuramente valutato il merito del progetto e solo quello”. Non ci sono scuse, dunque. Si può e si deve lavorare meglio: magari qualcun altro ci riuscirà.
di Alberto Battaggia, presidente de La città che sale