Progettare Verona capitale. Riflessioni e proposte
Venerdì 20 novembre 2020
Webinar con Luciano Butti, Paola Marini, Gian Paolo Romagnani, Massimiliano Zane, condotto da Alberto Battaggia
L’esclusione di Verona dalle dieci città finaliste del concorso “Capitale italiana della cultura 2022” è stato uno smacco. Le ragioni della sconfitta in errori di metodo e di contenuto. L’amministrazione doveva studiare accuratamente il bando del concorso, coinvolgere davvero le istituzioni e le energie culturali cittadine; puntare sulla innovazione e la sostenibilità; evitare personalismi controproducenti; far sì che Verona non fosse citata dai media nazionali per saluti fascisti e convegni reazionari.
“In questo Dossier si raccoglie la mia visione della Verona del futuro”, aveva detto il sindaco, questa estate, in occasione della consegna del Dossier al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo: e già qui i dubbi si ingigantivano. Perfino Noam Chomsky o Jack Lang – senza volere sminuire le doti intellettuali del nostro sindaco – avrebbero faticato alquanto a raccogliere in un dossier la “loro” personale visione della Verona futura; e ad essere convinti che questa coincidesse per forza con quella degli altri. In quella frase c’è probabilmente la chiave della sconfitta. Quel progetto ha galleggiato per aria, in questi mesi, senza una vera condivisione con le principali istituzioni ed energie culturali cittadine. Senza essere fatto conoscere nelle linee essenziali, nella idea forte che lo avrebbe dovuto sostenere: quella che tutti – e non solo il sindaco o gli uffici incaricati – avrebbero dovuto concorrere ad elaborare.
Tutto è perduto, allora? No, perché? Possiamo riprovarci. Con questa o, più probabilmente, con la prossima amministrazione. Ma certo non in questo modo.
Per proporre una prima riflessione su quanto accaduto, abbiamo allora invitato quattro autorevoli personalità del mondo culturale, cittadino e non, a parlarne nella tavola rotonda “Progettare Verona capitale”: Luciano Butti, Avvocato e docente di Diritto ambientale internazionale presso l’Università di Padova; Paola Marini, Storica dell’arte, museologa, già direttrice delle Gallerie dell’Accademia di Venezia e del Museo civico di Castelvecchio di Verona; Gian Paolo Romagnani, Professore ordinario di Storia moderna presso l’Università di Verona; Massimiliano Zane, Progettista Culturale, membro ICOM, consulente per il progetto della città di Volterra finalista 2022.
Questa la sintesi giornalistica degli interventi
Un benvenuto a tutti i partecipanti e un ringraziamento particolare ai nostri ospiti. Permettetemi una brevissima introduzione, La mancata designazione della nostra città tra le finaliste ha suscitato grande sorpresa e rammarico. Noi vorremmo proporre delle osservazioni più meditate delle polemiche politiche di questi giorni. Il rammarico viene, specialmente, dal danno di immagine: alla città e alla sua amministrazione. E poi dispiace perché questa era un’occasione per discutere e ridefinire l’identità culturale di una città – Verona – in crisi da anni, perché stretta tra uno straordinario patrimonio artistico culturale e le distorsioni originate dal turismo di massa.
Alcuni addebitano la sconfitta a quella serie di episodi assai discutibili che ne hanno deturpato l’immagine in questi anni: i saluti fascisti dei consiglieri comunali; le mozioni omofobe; il “Convegno della famiglia”… Personalmente non credo che una giuria autorevole come quella del premio sia stata condizionata da queste pur deplorevoli vicende: Stefano Baia Curioni è direttore di Palazzo Te a Mantova; Francesca Cappelletti è una storia dell’arte direttrice della Galleria Borghese di Roma; Roberto di Brian è un compositore; Cristina Loi un manager culturale…No, credo che i giurati abbiano valutato il progetto in quanto tale. Vediamo allora di ragionarci un poco.
Il riconoscimento di Capitale italiana della cultura, da parte del MIBAC, dura un anno e comporta l’acquisizione di un milione di euro. Tra gli obiettivi il miglioramento dell’offerta culturale la crescita dell ‘inclusione sociale. Il titolo è stato assegnato a Mantova nel 2016 a Pistoia alle 17 a Palermo nel 2018; non è stato assegnato nel 2019; è andato a Parma nel 20 e a Bergamo_Brescia, d’ufficio, nel 2023.
La prima questione che vorrei porre agli ospiti è di metodo: secondo voi la giunta ha seguito una metodologia adeguata per elaborare un Dossier vincente? Inizierei da Luciano Butti, che pochi mesi fa, su “Verona In”, aveva paventato quello che si è poi verificato…
Butti. Secondo me sono mancate due cose, dal punto di vista del metodo. La prima era prevista esplicitamente nel bando: la partecipazione pubblica. A tutt’oggi, il Dossier non è ancora stato reso pubblico [E’ stato diffuso solo successivamente alla bocciatura, il 16 novembre scorso, ndr] . Fare “partecipare” la cittadinanza comporta che all’inizio non si sappia dove il progetto porterà. Si è avuta l’impressione, invece, che si volesse sapere sin dall’inizio quelli che sarebbero i risultati finali. La seconda sta nel fatto che gli estensori del Dossier non devono avere studiato con cura le norme del bando e i verbali degli anni precedenti. Io li ho esaminati e si comprende la motivazione per cui una città è stata selezionata e un’altra città no. E’ mancata l’umiltà. Mi auguro, se dovessimo riprovarci, che questo non accada più.
Devo dire che in sede di presentazione, in luglio, mi ero stupito delle parole del sindaco :”questa è la mia idea di città del futuro”. Un progetto del genere non può essere l’espressione di un’unica persona, ma di un partecipato tavolo di lavoro. Cosa ne pensa Paolo Romagnani? L’Università è stata interpellata?
Romagnani. Sono d’accordo con Butti: è mancata la partecipazione pubblica. Lasciamo stare i complotti delle sinistre o le opinioni di Sgarbi: l’impressione è che quello della giunta sia stato un lavoro fondamentalmente improvvisato. Alcuni di noi – il sottoscritto, Butti, la Marini – avevano sollecitato l’iniziativa, ma questa è stata raccolta troppo tardi. Mi risulta che il mio Dipartimento sia stato contattato, ma non c’è stato un reale coinvolgimento, che avrebbe dovuto portare a costituire dei gruppi di lavoro, a coinvolgere i soggetti fin dall’inizio dell’elaborazione, non ad inventariare semplicemente delle proposte. Vanno anche considerate, tra le possibili ragioni dell’esclusione, i dati contestuali. Il patrimonio storico-artistico-naturalistico non lo può togliere nessuno alla città; ma i saluti fascisti di un membro della commissione cultura del Comune; certe prese di posizione presenti da molto tempo in questa città, possono avere avuto il loro peso. Potremo ricandidarci, ma bisogna capire che questo è un lavoro da svolgere in 2 o 3 anni attraverso un confronto sistematico con istituzioni ed associazioni, permettendo anche ai singoli cittadini di partecipare.
Cosa ne pensa Paola Marini, è d’accordo con questa analisi? E’ possibilòe che la giuria sia stata influenzata dalle vicende contestuali citate?
Marini. Prendo atto delle dichiarazioni; devo dire che come cittadina ho colto, nei mesi scorsi, il dispiacere della direttrice del Conservatorio per non essere stata consultata; e lo stesso posso dire direttamente per gli Amici dei musei, una realtà che contribuisce concretamente alla gestione del patrimonio museale veronese. Credo anche che si sia fraintesa l’esigenza di discrezione del Dossier… L’impressione è che si sia badato più all’urbs che alla civitas: più alla città di pietra che alle forze culturali vive della città. E’ positivo che siano stati indicati una serie di interventi di cui la città ha bisogno, però non basta fare un elenco di cantieri aperti. Sul piano dei contenuti,
mi pare che Verona debba valorizzare il suo straordinario rapporto tra natura e manufatti, promuovendo un Green New Deal che permetta di vivere in modo più sano. Negli ultimi anni e Verona si è un po’ accontenta delle sue bellezze, della sua storia: per un premio come questo occorreva guardare, tutti assieme, a quello che manca, non a quello che c’è. Infine non credo che i giurati siano stati condizionati dai fatti citati. Conosco diversi di loro e posso escluderlo.
Prof. Zane, dopo avere ascoltato alcune autorevoli personalità cittadine, che idea si è fatto di questa vicenda, anche alla luce della sua esperienza di consulente per il progetto di Volterra?
Zane. Sono d’accordo con tutte le considerazioni fatte e, in particolare, con quanto diceva Paola Marini. La capitale della cultura deve rappresentare attraverso se stessa una nuova idea di sviluppo progettuale, nella quale la base è proprio la partecipazione, che deve essere centrale fino agli albori dello sviluppo del progetto. Il lavoro grosso da fare è reinterpretare il tessuto culturale della città a partire dai cittadini. Il che vuol dire che le istituzioni devono in una certa maniera rinunciare a una quota di potere sul progetto, devono cederla e mettere in condivisione. Noi abbiamo iniziato a lavorare con i tavoli delle idee ancora prima dell’uscita del bando, sollecitando la cittadinanza a partecipare. Fondamentale, nel bando, il criterio della sostenibilità sociale. Le iniziative vanno presentate e portate avanti. A Volterra abbiamo riunito 150 associazioni locali di 53 comuni limitrofi nella più grande rete di condivisione dei comuni della Val di Cecina. Un dossier può essere efficace se diventa attivo, se inizia un processo di progettazione condiviso sulla base delle forze reali individuando con chiarezza gli obiettivi. . Il rischio è quello di fare anche un bellissimo progetto ma non allineato con le necessità collettive. Molto importante la comunicazione, che deve essere costante, quotidiana, che aggiorni la cittadinanza passo dopo passo
“Le istituzioni devono in una certa maniera rinunciare a una quota di potere sul progetto, devono cederla e mettere in condivisione”
“Nei centri urbani si è verificato quello che è un po’ prima si è verificato nel campo dei musei”
“Occorre qualcosa che faccia vivere in modo nuovo queste risorse, assieme all’ambiente naturale”
Un filosofo tedesco diceva che il passato, la storia, a volte ci schiaccia. E’ così anche per Verona? Lo chiedo perché mi sembra che uno dei parametri chiave del bando sia l’ “innovazione” anche pensando alle esigenze culturali dei giovani.
Marini. Nei centri urbani si è verificato quello che è un po’ prima si è verificato nel campo dei musei. Ora, fermo restando che oggi si parla di turismo di prossimità, di lavorare anche su pochi oggetti o poche opere, eccetera, è vero il fatto che un certo tipo di comunicazione vive questo patrimonio insigne, già dato, più come un fardello, che come una opportunità. E’ un punto non irrilevante per un paese come il nostro. Quindi il grande sforzo non è quello di cacciare tutto nei depositi e fare un museo ex novo, come è avvenuto, almeno fino al Pre-Covid, per cui ci si trovava in spazi magari semivuoti dove si sperimentavano nuove emotività e forme di comunicazione. Tuttavia, quelle esigenze valgono anche per le città. Innanzitutto occorre facilitare il ritorno dei cittadini: tempo fa pensavo, ad esempio, all’opportunità di creare un’installazione per permettere ai cittadini di attraversare l’Arena, come percorso urbano, almeno di inverno. Occorre qualcosa che faccia vivere in modo nuovo alla comunità, nelle sue articolazioni, ai nuovi cittadini, alle nuove comunità, queste risorse, assieme all’ambiente naturale.
Un altro limite da segnalare nel progetto, devo dire, è stato il pochissimo tempo trascorso tra l’inizio del progetto e la fine, solo pochi mesi.
A questo punto cederei la parola al pubblico. Forse il direttore di “Verona In” ha piacere di intervenire?
Giorgio Montolli. Sì, grazie. Quello che mi ha colpito è il continuo riferimento ai cittadini e ai Veronesi, che invece nella realtà sono stati molto ridimensionati negli ultimi anni anche per effetto delle politiche che sono state fatte. Il patrimonio più importante di una città è fatto da chi vi abita: se noi continuiamo a svuotarla.. E’ chiaro che gli interlocutori privilegiati sono state le categorie economiche, che vivono sul turismo. D’altra parte abbiamo una amministrazione di destra, mentre la cultura è una prerogativa dell’area progressista della società e quindi vedo una difficoltà nel riuscire a collegare tra loro due mondi abbastanza distanti. Poi c’è il problema della comunicazione locale, che il qualche maniera regge il gioco. Per cui diventa difficile portare avanti un certo tipo di discorso culturale. Infine hanno danneggiato tantissimo Verona, a livello nazionale ed internazionale, iniziative come il “Convegno della famiglia” e non solo: non si possono fare i saluti romani in Consiglio comunale e poi candidarsi a capitale della cultura.
“E’ ora che da sinistra, che in tema ambientale ci ha abituati a tanti “no” vengano anche tanti “sì”
Montolli ha fatto delle osservazioni impegnative e in buona parte condivisibili, a mio parere; ritengo però un po’ schematica la divisione tra una destra che pensa agli affari e una sinistra che pensa alla cultura. Credo che le dinamiche reali siano molto più articolate e trasversali, in una città che, pur medio piccola, ha una sua complessità. Voglio anche pensare che una giuria come quella del premio non si sia lasciata influenzare da questi episodi forse ridicoli, oltre che discutibili.
Butti. Rispetto alle due dicotomie denunciate da Montolli, quella tra cittadini e turisti; e quella tra destra e sinistra, c’era un tema trasversale su cui puntare: la sostenibilità ambientale, che nel bando era centrale. E’ un’esigenza che sposa sia gli interessi dei veronesi che quella dei ricchi turisti del Nord; e che non dovrebbe separare così nettamente gli ambiti politico-ideologici. Ad esempio, è ora che da sinistra, che in tema ambientale ci ha abituati a tanti “no” vengano anche tanti “sì”: al 5G, all’inceneritore a Ca’ del Bue… Oggi occorrono ai cittadini sia aggiornate infrastrutture di comunicazione, sia moderni impianti di recupero e trattamento di rifiuti. E poi, ricordiamoci che accanto alla tradizione artistico-letteraria, Verona vanta eccellenze scientifiche nella sua università che potrebbero essere collegate benissimo ad un progetto innovativo, come suggeriva Battaggia. Infine: avevamo un testimonial eccezionale, scienziato e vivente, e ce lo siamo dimenticati: Carlo Rovelli.
Vorrei riprendere i temi di Montolli: non ritenete che a volte la cultura di sinistra, che si associa ai grandi valori umanistici, agisca da freno, rispetto a certe dinamiche?
Romagnani. Sì, senza dubbio, anche se questo è un carattere più della cultura umanistica che di quella di sinistra. L’ho verificato durante il lockdown: alcuni colleghi, costretti a fare didattica a distanza, all’inizio strepitavano e ora utilizzano tranquillamente questi strumenti. I giornali cartacei stanno sparendo, si leggono meno libri – anche se il libro cartaceo rimane ancora una cosa ineliminabile – ma ben vangano strumenti anche di informazione digitali e tutti gli strumenti che possano permettere esperienze nuove anche nella frequentazione di musei e gallerie, come i percorsi virtuali, straordinari.
La prof.ssa Marta Ugolini si occupa da anni della città e della sua economia: che idea si è fatta in merito?
Vorrei intervenire su questa contrapposizione fra turisti e residenti: dobbiamo iniziare a scardinarla. La si cita quando si pensa ad un modello di turismo, quello di massa, con il pullman di turisti che girava attorno all’ Arena per 45 minuti e poi se ne andava. Ha fatto il suo tempo. Oggi si parla di “turismo sostenibile”, sia ambientalmente che socialmente, ma questo ha delle implicazioni, vuole dire limiti, regolazione. Vuol dire che ci deve essere un piano anche quantitativo di capacità di carico di numeri di persone che vanno in certi posti. Invece finché l’unico criterio del successo è quantitativo, ci troviamo con i mercatini di Natale che vengono scambiati per il turismo e invece sono un’altra cosa.
“Ho pensato che a quel progetto, evidentemente, non tenevano granché.
“Una una candidatura basata, con supponenza e prosopopea, sulla bellezza e la fama della città”
Gian Arnaldo Caleffi. Posso ricordare,rispetto a questa vicenda, una piccola esperienza personale. Avendo vinto, come architetto, un progetto riguardante la riqualificazione di una parte della cinta muraria, sono stato invitato ad esporlo in una delle location scelte per presentare le iniziative della candidatura: i sei pannelli che avevo preparato sono stati lasciati in un angolo, tanto che mi sono chiesto perché mi avessero coinvolto. Ecco, ho pensato che a quel progetto, evidentemente, non tenevano granché. Come cittadino, mi sono spesso chiesto, in questi mesi, perché mai dovessimo essere scelti. E infatti…
Roberto Capuzzo. A me hanno colpito i commenti dell’amministrazione dopo la bocciatura. Mi hanno fatto pensare ad una candidatura basata, con supponenza e prosopopea, sulla bellezza e la fama della città. Non hanno capito perché la proposta è andata male. Se ci riprovassero, rifarebbero le stesse cose. Otterrebbero lo stesso risultato.
Interessante e condivisibile.
Molto interessante. Ritengo comunque che i saluti fascisti dei consiglieri comunali, episodi allo stadio e il il convegno integralista sulla famiglia pur non avendo condizionato i giurati sulla scelta, abbiano contribuito a screditare la città.
Mi si chiede un commento con qualche suggerimento. Ma più che fare delle considerazioni credo che altro non sia possibile, per avere in tasca delle soluzioni bisognerebbe attrezzarsi di bacchetta magica. E’ vero che Verona è spesso alla ribalta della cronaca nazionale per episodi, eventi ed avvenimenti ammantati di arretratezza culturale, leghismo, razzismo, spirito d’esclusione, mentalità conservatrice di destra, rendendola nell’immaginario collettivo una città molto provinciale, molto chiusa dal punto di vista sociale, anche se apprezzata per la sua bellezza fisica. Si sente spesso dire :”Verona è bella, però…” e c’è sempre un però sui veronesi. Dopotutto la vera bellezza di un luogo, quella che suscita la voglia di ritornarci, di sentirsi come a casa, non la fa l’arte, l’architettura, la natura che pure contribuiscono molto, la fa l’elemento umano, cioè le persone con la loro gentilezza, la loro ospitalità, che non deve essere pura formalità, ma vera accoglienza, spirito di inclusione, umanità e solidarietà non finalizzate a qualcosa, ma come facenti parte del suo stesso tessuto sociale. Verona, che non è cmnq l’ unica , purtroppo, non è famosa per questi aspetti, anche se ovviamente non mancano le eccezioni e le persone degne di questa bella città. Ma questa è l’aria che un visitatore respira e che riferisce dopo qualche tempo di soggiorno qui. ” Far sì che Verona non fosse citata dai media nazionali per saluti fascisti e convegni reazionari.” come si afferma nel primo paragrafo in neretto dell’introduzione, non fa altro che alimentare quel muro di ipocrisia che già la caraterizza. Non è nascondendo la polvere sotto il tappeto che si affrontano e si risolvono i problemi. Ma si cercano delle soluzioni ad essi e lo si fa con una sinergia di forze, di professionalità, di competenze, di enti preposti e di un atteggiamento mentale scevro da ogni ipocrisia e da ogni pregiudizio. Soprattutto si fa con la Cultura, l’Educazione, la Scuola e perché no, con il Teatro di laboratorio popolare accanto a quello shakespeariano, in cui la comunità possa specchiarsi e giudicarsi. E’ da qui che bisogna partire, è’ questo il punto di Partenza, per poter pensare ad un Arrivo, ad una meta ambita, seppur lontana, perchè c’è molta strada da fare. Ma il risultato finale sarà sicuramente prezioso, a prescindere da ogni qualsivoglia candidatura ad un premio, perchè sarebbe sicuramente una città più amata e rispettata prima ancora che una formale “capitale italiana della cultura”.