Prospettiva Folin. Un’idea di Verona / 1

Urbanistica, identità urbana, business. Verona riparte? Una scommessa per la città. Punti di forza e di debolezza. Il nodo politico: Sboarina vs Mazzucco. Le opinioni di pianificatori, politici, associazioni e museologi. Un’esigenza su tutte: discutere

di Alberto Battaggia

Toc toc, “C’è nessuno? Sono il Piano Folin!” / 2

Fare ripartire Verona, certo. Da dove? Uno dei possibili blocchi di partenza potrebbe essere il Piano Folin. A patto che la città lo voglia: un progetto del genere non può essere calato dall’alto. Innanzitutto va discusso, finalmente, coinvolgendo urbanisti, imprenditori, istituzioni culturali, associazioni, cittadini… Se poi la città lo farà proprio – con gli adattamenti del caso – il Piano potrebbe mantenere quello che promette. Vediamolo. Il 12 dicembre del 2018, il presidente di Fondazione Cariverona Alessandro Mazzucco e il sindaco di Verona Federico Sboarina a presentavano il “Piano Folin”, tecnicamente intitolato “Studio sulla valorizzazione economica e sociale di alcuni immobili situati nel Centro storico di Verona”. Elaborato dall’architetto e urbanista Marino Folin, già rettore dello Iuav di Venezia, il Piano è uno dei progetti urbanistici di riqualificazione del Centro storico più ambiziosi mai presentati a Verona.

La presentazione del Piano Folin. Palazzo del Capitanio, 25 gennaio 2019, 1h55′

Il presidente di Fondazione Cariverona Alessandro Mazzucco ( a dx) e il direttore generale Giacomo Marino

Esso ha tratto origine, nelle intenzioni degli estensori, da due esigenze complementari: quella, aziendale, di garantire redditività all’imponente patrimonio immobiliare in dotazione a Cariverona; quella, urbanistica, di riqualificare le funzioni del Centro storico cittadino, restituendo ad esso centralità.

La prima trae origine dai cospicui investimenti immobiliari decisi dalle gestioni del precedente presidente della Fondazione Paolo Biasi – al governo dell’ente dal 1992 al 2016 – e dagli edifici rimasti vuoti negli anni scorsi dopo il trasferimento degli uffici di Unicredit a Verona Sud. Un patrimonio di ben 437 milioni di euro largamente infruttiferi. Gli edifici coinvolti dal Piano sono i palazzi già occupati da Unicredit in via Garibaldi ai numeri civici 1 e 2; Palazzo Franco- Cattarinetti, in via Rosa; Palazzo del Capitanio; Castel San Pietro; Palazzo Forti e il Monte di Pietà. Nella nota al bilancio approvato nel del 2016, Cariverona annunciava, con la nuova presidenza, di avere avviato “una revisione approfondita ed organica del patrimonio immobiliare, ponendo come priorità un contributo più adeguato e sostenibile alla redditività dell’Ente”. Come? Col Piano Folin.
Come è noto, i nuovi dirigenti della Fondazione Cariverona , il presidente Alessandro Mazzucco e il direttore generale Giacomo Marino, hanno impegnato le loro energie innanzitutto per risollevare i valori patrimoniali e reddituali del bilancio ereditato dalla precedente gestione.

La seconda riflette il progressivo impoverimento demografico e funzionale in corso da decenni nell’aerea di maggiore pregio storico-artistica cittadina. Un processo innescato dalle obiettive dinamiche socio-economiche in corso anche in altre realtà urbane trivenete e da politiche urbanistiche che non sono riuscite a compensarle. Il Centro storico di Verona appare ora come una gigantesca vetrina animata da un turismo di massa frettoloso e caotico.

Gli obiettivi

L’obiettivo del piano è quello di fornire nuovi servizi, in simbiosi con la Gran Guardia e la Fiera di Verona, in grado rilanciare il Centro e con esso la città intera. Gli edifici coinvolti verrebbero destinati a funzioni turistico-culturali-congressuali in grado di assicurarne la redditività, da un lato: e di fornire alla città nel suo insieme, una serie di servizi di alta qualità, paragonabili ai più apprezzati standard europei. Nuove sale grandi e piccole per la convegnistica, raffinate proposte enogastronomiche, servizi di eccellenza alla persona, esposizioni permanenti e temporanee…

Secondo gli autori del Piano, le dinamiche socio-economiche e strutturali che hanno investito il territorio e, in particolare, il Centro storico, hanno comportato per Verona una sostanziale perdita di identità urbana. Gli interventi prospettati dovrebbero rifunzionalizzare la parte più antica della città in rapporto ai grandi poli produttivi urbani e agricoli che la circondano.

Le premesse macro

Le premesse generali alla base del Piano sono i cambiamenti economico-sociali, in particolare quelli demografici e commerciali; e i dati urbanistici strutturali del territorio.

Cambiamenti economico-sociali

L’andamento demografico
Il trend demografico negativo degli ultimi venti anni, che ha visto la popolazione residente diminuire, nel ventennio 1991-2011, del 10,8%, passando da 264.140 abitanti a 255.824. Nel Centro storico il calo è stato pronunciato: da 32.452 a 29.000. Sono invece cresciuti, sempre in Centro, i residenti stranieri, che rappresentano oggi il 12,5% del totale. Tali tendenze sono comuni alle città confrontabili del Nord Est. Le abitazioni non utilizzate dai residenti del Centro storico sono il 15%, a fronte del 6,6% di quelle della città

L’andamento commerciale
In poco meno di dieci anni, dal 2008 al
2016, le unità commerciali sono diminuite di circa il 18%, Tendono ad uscire dal Centro le grandi aziende terziarie, mentre le unità produttive diventano più piccole e si concentrano su forme
di intrattenimento connesse ai settori food
and beverage
e ai servizi alla persona e turistici in genere. In dieci anni, un negozio di vestiario su sei è venuto meno, una libreria su quattro ha chiuso, su cinque negozi di mobili e ferramenta solo quattro continuano l’attivi. In ambito turistico, sono proliferati gli alloggi in locazione temporanea (AirB&B): da 1 nel 2009 a 1500 nel 2016.

La struttura urbana

Il territorio cittadino è contrassegnato da alcuni poli di produzione economica esterni all’area storica: il Quadrante Europa, il più grande interporto d’Italia;
la ZAI, primo polo industriale di Verona, con oltre 600 aziende insediate e oltre 20.000 addetti; la Fiera, prima in Italia per numero di manifestazioni e tra le prime in Europa.
Gli ex Magazzini Generali sono invece dismessi e in rapida trasformazione in centro direzionale di banche e uffici.

I poli di produzione di beni e servizi,
fuori dalle mura della città

Nel processo di sviluppo che ha contrassegnato Verona a partire dal secondo dopoguerra, il Centro storico ha progressivamente perduto gran parte delle sue attività produttive e direzionali, nonché ogni contatto funzionale con i poli della produzione economica, mantenendo al suo interno le attività dell’amministrazione pubblica, oltre a tutte quelle di carattere culturale, pur accogliendo il Polo Universitario di Veronetta.

Il Piano

La strategia dei pianificatori consiste nel destinare un insieme di sette edifici, tutti collocati entro l’ansa dell’Adige, ad eccezione di Castel San Pietro, che pure ne è a ridosso, a servizi congressuali e turistici qualificati.

Gli edifici di via Garibaldi costituirebbero il City Hub e sarebbero destinati ad ospitare un centro Congressi e uno spazio enogastronomico, sinergicamente collegato con gli spazi congressuali della Gran Guardia e con le attività della Fiera.
Il Lab Urbs diventerebbe il museo storico della città, sdoppiato tra quello dell’età romana, ospitato in Castel San Pietro; e quello dedicato alla storia medievale e successiva assegnato a Palazzo del Capitanio.
Palazzo Forti si offrirebbe come spazio di alta formazione culturale; mentre il Monte di Pietà si qualificherebbe come luogo di ricerca e innovazione aperto alle imprese creative.

Gli edifici coinvolti

  1. La ex sede di Banca Unicredit, in via Garibaldi
  2. La ex sede di Banca Unicredit, in via Garibaldi 2
  3. Palazzo Franco-Cattarinetti, in via Rosa
  4. Palazzo Forti, in via Forti
  5. Monte di Pietà, in Piazzetta Monte
  6. Palazzo del Capitanio
  7. Castel San Pietro
La localizzazione dei palazzi coinvolti dal Piano
Il Centro storico visto da Castel San Pietro
Ex Unicredit,
via Garibaldi 1
Ex Unicredit,
via Garibaldi 2
Palazzo Franco-Cattarinetti,
via Rosa 7
Palazzo Forti
via Achille Forti 1
Il Monte di Pietà;
piazzetta Monte di Pietà
Palazzo del Capitanio,
Piazza dei Signori
Castel San Pietro

City HUB

Ex sedi di Banca Unicredit e
Palazzo Franco-Cattarinetti, in via Rosa 7

Il City HUB ospita, al suo interno, un Centro Congressi con annessa residenza di tipo alberghiero, un Centro Benessere,
un Centro Eno-gastronomico.
Il Centro Congressi mira a colmare una assenza. Verona, pur avendo una Fiera Internazionale di primaria importanza
in Italia e in Europa, presenta una oŸerta ancora debole per quanto riguarda strutture congressuali permanenti
e modernamente attrezzate, adeguate al rango della città e al ruolo che essa potrebbe svolgere nel settore
della convegnistica.

Valorizzazione museale

Palazzo Forti, in via Achille Forti 1

Oltre a sede di attività di carattere espositivo temporanee e/o permanenti, Palazzo Forti potrebbe essere anche
sede di istituzioni o agenzie di carattere nazionale o internazionale, di istituzioni formative e di ricerca anche di carattere universitario, italiane o straniere.

Residenza e laboratori di ricerca condivisi

Piazzetta del Monte di Pietà

Il Monte di Pietà è attualmente destinato in parte a residenza e in parte a uffici, occupati oggi dalla DoBank, in via di trasferimento agli ex Magazzini Generali.
La proposta è quella di mantenere nella loro attuale destinazione gli spazi residenziali e di destinare a piccoli
studi, laboratori di ricerca, digital lab, anche con forme gestionali di co-working, gli spazi che si libereranno a
seguito del trasferimento della DoBank.

LAB-Urbs

Palazzo del Capitanio e Castel San Pietro

Il LAB-Urbs mette assieme le funzioni e le attività proprie di un Urban Center con quelle di un Museo della Città. Ciò significa che al suo interno si potranno cogliere le testimonianze della storia urbana, straordinariamente ricca, di Verona, dalle sue origini, nel neolitico, e poi, via via, attraverso il periodo romano, quello delle invasioni barbariche, della dominazione veneziana, di quella austriaca, di quella successiva all’unità d’Italia, del primo e secondo dopoguerra, fino ai giorni nostri

Le criticità. Sboarina vs Mazzucco: il nodo politico

Il piano, assai complesso, si presta a diverse osservazioni critiche. La principale ha natura politica. In sede di presentazione, il Piano sembrava godere del convinto appoggio dell’Amministrazione. Fondazione e giunta comunale avevano infatti sottoscritto un protocollo d’intesa. «Il documento – aveva precisato il sindaco Sboarina – non pone vincoli particolari: è un impegno a lavorare insieme per arrivare in tempi brevi alla rigenerazione di questi siti, con una visione complessiva, intervenendo sulla rigenerazione urbana di aree dismesse di pregio».  L”assessore all’Urbanistica Ilaria Segala si era spinta ad auspicare l’utilizzo del decreto “Sblocca Italia” per velocizzare i necessari cambiamenti nelle destinazioni d’uso degli edifici. Ma poi, il clima tra le due parti è radicalmente cambiato. Nel febbraio scorso, il rinnovo delle nomine del Consiglio della Fondazione – condotto in assoluta autonomia, come da statuto – ha innescato una violenta polemica tra il Comune – e le forze politiche che lo sostengono -, da una parte; e il presidente Mazzucco, dall’altra. Tanto che – in piena emergenza Covid, a febbraio, – Cariverona non era stata nemmeno invitata in Comune al convegno “Un progetto da condividere perché il Comune riparta”, che aveva coinvolto tutte le organizzazioni che contano a Verona, da Apindustria a Coldiretti alla Camera di Commercio a Cattolica Assicurazioni (vedi “Missione impossibile”, sul nostro blog).

Non sfugge poi l’altro dato politico di Palazzo Barbieri: la debolezza del sindaco rispetto alle forze che lo dovrebbero sostenere. Basti pensare al modo in cui si è sviluppata la questione Agsm, che ha visto il progetto di fusione Agsm-A2a e il presidente di Agsm Finocchiaro, sostenuti dal sindaco, crollare sotto i colpi delle forze di maggioranza. Cosa accadrà se e quando il Piano comincerà ad essere vagliato dal consiglio comunale?

Altre considerazioni, di merito, giustificano delle perplessità. Un intervento così massiccio e localizzato, funzionale agli interessi di una istituzione pur sempre privata come la Fondazione, dovrebbe inserirsi armonicamente in una visione urbanistica generale: condizione che sembra assente. Si temono anche le conseguenze sulla viabilità limitrofa al centro storico dovute ai nuovi attrattori di traffico. Seri dubbi riguardano lo sdoppiamento del museo della città in due edifici (Castel San Pietro e Palazzo del Capitanio), che appare ai museologi una scelta dispersiva. Sul piano dei finanziamenti, sembrano più accessibili quelli relativi ai servizi congressuali ed enogastronomici, vista la immediata convenienza commerciale; ben più problematici, invece, quelli destinati ai musei, ai laboratori culturali, al sistema museale, stanti la crisi della finanza pubblica e il drastico ridimensionamento delle risorse disponibili della stessa stessa Fondazione.

I punti di forza

Altre considerazioni, invece, premiano il progetto. Spesso i progetti urbanistici sono tanto suggestivi quanto astratti, disegnando scenari che si rivelano impraticabili perché scollegati dalle dinamiche socio-economiche concrete e dalle più prevedibili scelte degli attori (si pensi al “Polo finanziario-culturale” di Verona sud vagheggiato dalla giunta Zanotto). In questo caso, invece, il gioco delle convenienze commerciali coinvolte è chiaramente individuato. Verona ha una indubbia vocazione turistico-congressuale, alimentata dal patrimonio artistico-museale-musicale e dai servizi fieristici. Quello di Folin non è quindi un piano calato dall’alto, un’operazione accademica, ma una realistica opportunità di rafforzare un settore dinamico dell’economia veronese. In secondo luogo, la logica del progetto premia una evoluzione matura del mercato turistico, favorendo un’offerta di servizi di qualità a visitatori non occasionali.
Sul piano urbanistico, l’idea di una progettazione generale ed organica, pluriennale appare obsoleta, nella opinione di molti esperti, oltre che in quella di molti amministratori.

Opinioni

Coinvolgere per riuscire. L'esempio controverso di Venezia. Conversazione con Massimiliano Zane

Massimiliano Zane è Progettista Culturale e Consulente Strategico per la Gestione e la Valorizzazione delle Risorse Culturali, membro ICOM e ICOMOS, parte della Expert of Management List of REA della Commissione Europea, Crew Member of Expert List of KEA European Affair e Independent Exper presso Council of Europe. Collabora con diverse università italiane e concorre inoltre allo sviluppo ed all’applicazione delle nuove Tecnologie per la valorizzazione della cultura come Cultural Designer per società specializzate nel settore hi-tech

Il piano Folin sembra assecondare realisticamente la vocazione turistico congressuale della città legata ai servizi fieristici dalla posizione strategica alla dinamicità commerciale al notevolissimo patrimonio artistico assicurando nel contempo redditività di immobili altamente improduttivi. E’ d’accordo con questa considerazione?

Sostanzialmente sì. La rigenerazione di un immobile, soprattutto a fini culturali, passa attraverso tanti fattori tra i quali, innanzitutto, la finalità d’uso. In una città come Verona, l’elemento fieristico è una componente molto rilevante. Fondamentale, tuttavia, è l’innesto integrato del progetto nel tessuto urbano e civile della città, che deve avvertirlo come proprio, pena l’estraneamento dello stesso. Il piano non può guardare solo all’impatto del turismo specifico a cui guarda, quello fieristico, ma all’intera filiera che mette in moto, dalle industrie culturali creative, alla cittadinanza, agli albergatori, alle aziende di promozione. Se sarà soddisfatta questa condizione il piano non sarà solo una suggestiva proposta ma potrà mettere radici e rilanciare il turismo di Verona.

Verona guarda sempre a Venezia, quando ragiona di turismo. Un modello da imitare?

Verona guarda spesso a Venezia invidiandone i grandi numeri, ma il vantaggio che la città scaligera ha è quello di non averli ancora e di poterli, perciò, preparare gestendoli. Un grandissimo vantaggio, perché ha davanti a sé un esempio da non seguire acriticamente. Arrivare come Venezia vuol dire non riuscire più a gestirla. Occorre partire dall’idea di lavorare molto sullo audience engagement rispetto all’audience government: Verona è già un nome, ha già tutta una serie di filiere turistiche a cui attingere, non ultima, appunto, quella fieristica. Il problema è l’equilibrio di gestione di queste filiere.

Da una parte, allora, occorrerebbe che il piano si inserisse in una visione urbanistica più organica; e, dall’altra, sarebbe necessaria un’adeguata azione di preparazione politico culturale dell’ambiente.

Certo. Si tratta di operare su un duplice registro: quello delle infrastrutture fisiche e quelle cognitivo culturali.

Il successo del Piano, perciò, presuppone che il Comune condivida realmente questo progetto. Finora, la sensazione è che la Fondazione abbia, legittimamente, un bisogno estremo di valorizzare i suoi immobili e solleciti il Comune al rapido adeguamento della destinazione d’uso degli immobili; ma che non stia investendo molto nel coinvolgimento dell’opinione pubblica. Il Comune, dall’altra parte, ha finora manifestato molta cautela. Il sindaco, in particolare, teme che prevalgano logiche puramente immobiliari.

A Venezia abbiamo vissuto l’esperienza dell’M9 – il nuovissimo Museo del ‘900, ancora chiuso da mesi, [ndr] – , un esempio negativo di sconnessione tra progetto e città. Un grandissimo progetto, dalle potenzialità immense, che però è stato ideato, portato avanti e realizzato in maniera distante rispetto alla cittadinanza ed è sostanzialmente nato morto. Ha avuto problemi fin dal primo mese e questo non può e non deve succedere.

Il piano prevede ampi spazi dedicati alle esposizioni e un grande museo della città: ma Verona può sostenere un’offerta così copiosa di servizi culturali per tutto l’anno?

Verona è ampiamente riconosciuta – nel mondo – come una città di cultura, dotata di un patrimonio storico-artistico formidabile. Verrebbe da dire che un’articolata dotazione museale sarebbe giustificata. Ma poi occorre verificarne la sostenibilità economica. Quest’ultima, però, non va valutata a partire dalla domanda di servizi, ma dall’offerta che si intende proporre: è sulla seconda che si determina la prima, quando parliamo di servizi culturali. Torniamo ancora a Venezia. Se promuoviamo uno sviluppo indiscriminato di flussi turistici, rischiamo di favorire una polarizzazione della tipologia di turismo e che questo sia un turismo che magari del Museo della città di Verona si disinteressa.

L’esempio, tanto scontato quanto paradigmatico, è quello della Casa di Giulietta, tanto finta quanto di clamoroso successo…

Quindi anche in questo caso è necessario un forte lavoro preliminare di comunicazione dell’intera operazione e, soprattutto, l’operazione non deve essere episodica, ma rivolta a valorizzare la città in termini di identità culturale: parliamo del Museo della città, un museo fortemente identitario, che non può nascere dal nulla, ma dalla narrazione della città. Se nascerà in questi termini, allora il Museo rimarrà una risorsa per la città e, in conseguenza, diventerà una risorsa per il turismo. Fare l’operazione inversa, ossia pensare ad un’operazione turistica che poi diventa una risorsa della città, è tendenzialmente rischioso e quasi sempre un’operazione perdente.

Si prevede anche che il Museo sia sdoppiato in due strutture: la parte realtiva alla storia romana collocata a Castel San Pietro e quella relativa alla storia medievale e successiva a Palazzo del Capitanio. Una buona idea?

Dipende da come si gestisce la divisione. Diciamo che abbiamo ottimi esempi di museo diffuso. Per un verso, l’articolazione in strutture diverse può diventare un valore aggiunto, conducendo per mano il visitatore alla scoperta di angoli diversi della città, evitando la sclerotizzazione dei flussi turistici in 2 o 3 punti di essa. Per l’altro, il rischio è quello di creare una frammentazione. A Venezia ci sono undici sedi museali dei musei civici, ma Palazzo Ducale è super visitato, mentre al Museo del vetro di Murano non ci va quasi nessuno. Serve un lavoro di connessione integrata sia nella bigliettazione che nella proposta con le istituzioni culturali già presenti e già conosciute in città. Penso, ad esempio, ad un un biglietto integrato fra l’Arena di Verona e il Museo della città. Questo crea automaticamente un supporto vicendevole fra istituzioni.

Gli estensori del piano rivendicano l’opportunità di rilanciare con il centro storico l’identità urbana della città, attualmente connotata da un turismo frettoloso e caotico. Sono questi un obiettivo ed una nozione di identità urbana condivisibili?

Quando noi parliamo di cultura, parliamo di identità. Cosa intendiamo per “patrimonio culturale della città”? Non ci riferiamo all’oggettino conservato all’interno della teca museale, ma tutto ciò che connette una comunità con quel territorio. Lavorare su un progetto culturale che aiuti a ricordare l’identità territoriale e contribuisca soprattutto a farla conoscere, è un’operazione auspicabile e fondamentale per qualunque amministrazione, soprattutto in presenza del rischio di alimentare un turismo “mordi e fuggi” al quale dell’identità territoriale non importa nulla. Lo stesso rischio che aveva Venezia 30 35 anni fa, quando non ci si è preoccupati del problema dell’aumento dei flussi turistici e siamo arrivati ai livelli attuali.

Diversi pianificatori sono dell’opinione che la stagione dei grandi progetti urbanistici poliennali sia finita e che occorra oggi ridimensionarne la portata temporale. Ma è davvero così? Ed è questa una tendenza oggettiva, inevitabile?

Qualunque intervento, grande o piccolo che sia, deve innestarsi in un sistema organico sia urbanistico-architettonico che urbanistico-civile: non può nascere fine a se stesso. Un progetto così importante produce effetti importanti; e quindi dovrà avere un sostegno convinto e non occasionale, collettivo, dato dalla cittadinanza, dalla scuola, dalla connessione del progetto con la rete delle fondazioni e delle istituzioni culturali presenti in città.
L’operazione urbanistica è come un albero: impianti semi oggi e avrò il raccolto fra 2 o 5 o 10 anni. A Palermo, ma anche in altre città, le pedonalizzazioni di aree urbane pregiate hanno trovato, prima, la ferma opposizione dei commercianti e, dopo, il loro entusiastico consenso.

Paola Marini

Storica dell’arte, museologa, già direttrice delle Gallerie dell’Accademia di Venezia e del Museo civico di Castelvecchio di Verona

Il Piano prevede ampi spazi dedicati alle esposizioni e un grande Museo della città sdoppiato in due edifici: Verona sarebbe in grado, considerando le risorse economiche ed organizzative disponibili, di sostenere un’offerta così copiosa di servizi culturali per tutto l’anno?

Ho molti dubbi, in merito. E’ vero che Verona gode di un flusso turistico copioso, per essere una città di piccola-media dimensione; ma alimentare per tutto l’anno gli ingressi a più aree espositive in termini economicamente accettabili potrebbe essere assai problematico. D’altra parte, penso che non si possa ipotizzare una stagionalità dei Musei, concentrando le proposte culturali nei mesi estivi, ad esempio o nelle festività.
Anche l’istituzione di un Museo della città, di per sé lodevole, costituirebbe un impegno significativo; l’eventualità poi di uno sdoppiamento in due sedi e’ a mio avviso da respingere per altri motivi, tra cui la mancanza di una visione unitaria; la presenza di sezioni già ampiamente documentate, ad esempio, al Museo Cavalcaselle e a Castelvecchio; la difficoltà di tenere interessato il pubblico al tema chiedendogli di spostarsi in luoghi diversi; gli oneri di gestione, ancora più pesanti nei difficili tempi attuali…

Un turismo culturale alimentato dalle attività congressuali, potrebbe effettivamente imporre un salto di qualità nelle caratteristiche globali dell’offerta di servizi turistici (da quelli alberghieri ed enogastronomici a quelli culturali)?

L’economia e il commercio veronesi sono molto dinamici, per fortuna, e sostengono una intensa attività congressuale. Sicuramente, perciò, il turismo di questo tipo andrebbe incentivato e migliorato nell’accoglienza, negli standard qualitativi delle strutture, negli spazi a dispozione per queste esigenze. Il punto critico, tuttavia, riguarda proprio l’idoneità della sede individuata per accoglierle il Centro congresso, in via Rosa, a due passi da Piazza Erbe, difficile da raggiungere e priva di spazi di decongestionamento, di condivisione. Un problema di difficile soluzione.

Gian Arnaldo Caleffi

Architetto ed urbanista, già Assessore, a Verona, ai Lavori Pubblici e all’Arredo urbano nel 1993 e alla Pianificazione urbanistica tra il 2015 ed il 2017

Quali sono gli aspetti più interessanti del Piano Folin, da un punto di vista urbanistico?

Il tentativo di mettere a sistema edifici abbandonati o sottoutilizzati ed innescare un processo di riqualificazione delle aree che li circondano.

E quelli più critici?

Contribuire a cambiare la natura sociale del centro storico, processo in atto da anni, ma che richiederebbe il concorso di più attori sotto la regia del Comune.

Il Piano riflette opportunità economico-commerciali reali?

In una città a forte vocazione turistica come Verona sembra di si. Sulla fattibilità concreta non ho sufficienti elementi per valutare.

Il Piano Folin può effettivamente interrompere il declino demografico e socio-economico del Centro storico?

Sì quello socio-economico, no quello demografico, che per essere arrestato richiederebbe interventi a servizio della residenzialitá, il contrario di quanto prospetta il Piano.

Quanto ha inciso e può incidere l’emergenza Covid sulla fattibilità del Piano?

È ancora presto per dirlo, dipenderà da come, ad emergenza finita, si evolveranno le attività direzionali, culturali e l’indotto turistico conseguente. Dovremo aspettare il ritorno alla normalità (dopo il vaccino) per scoprire quanto sarà un “ritorno” e quanto una nuova direzione di sviluppo.

Michele Abrescia

Libero professionista, già Ricercatore in Diritto costituzionale, è il presidente di Verocentro, associazione che promuove la qualità della vita del Centro storico

L’associazione guidata da Michele Abrescia, in un convegno dedicato all’argomento, ha sostenuto l’esigenza di “un Concorso di idee internazionale in considerazione della notevole importanza sulla città intera degli interventi previsti dal Piano Folin”. Tra i punti più critici, quelli riguardanti la viabilità, “..considerando realisticamente i flussi nelle aree interessate (ospiti e congressisti, trasporto merci, trasporto servizi tecnici …); e il rispetto ambientale: “Individuare l’impatto antropico e tecnologico degli insediamenti previsti. Quali: emissioni sonore, emissioni odorigene, ricambio aria, scarichi e trattamenti acque reflue…”.

Presidente Abrescia, cos’è, secondo voi, il Piano Folin?

Un progetto che mette in gioco, con l’identità del Centro storico, quella dell’intera città. Non è una semplice ipotesi di ristrutturazione e valorizzazione di alcuni importanti immobili cittadini. Dobbiamo chiederci quali conseguenze potrebbe avere il Piano sulla già grave situazione demografica e socio-economica del centro, che va invece rivitalizzato. Se puntiamo solo alle esigenze turistiche, rischiamo di fare gli stessi errori fatti a Venezia. Senza un’ampia articolazione delle attività economiche e dei servizi rivolti ai residenti, la città muore.

Lei reputa reversibile la crisi demografica ed economica del Centro storico?

Sì, ma occorrono scelte coerenti a questo obiettivo: ci sono immobili – anche Agec ne dispone – che potrebbero essere destinati a questo. Il Piano Folin deve essere un’occasione non per fare morire definitivamente il centro, ma per rilanciarlo. Occorrono abitazioni e servizi per nuove coppie, anziani, giovani, bambini…Verona non può vivere solo in funzione di singoli eventi, ma tutto l’anno.

Gli immobili del Piano non sembrano prestarsi a fornire soluzioni di edilizia popolare

E’ vero, ma potrebbero ospitare servizi culturali e sociali rivolti ai giovani, agli anziani, spazi di aggregazione, di incontro..

Il PIano ha dalla sua il realismo: risponde ad opportunità imprenditoriali concrete…

Fino ad un certo punto: ovunque, i centri congressi si fanno in aree facilmente accessibili; in questo caso centinaia di persone dovrebbero raggiungere una via a senso unico in ZTL … Non possiamo inserire degli attrattori di traffico così importanti senza prevedere come favorire l’accesso degli utenti. Il progetto dovrebbe armonizzarsi con il piano della mobilità del Comune.

Del Piano non si è ancora veramente discusso , non trova?

Infatti. Occorre che inizi un vero confronto, a partire dai residenti, dai cittadini degli altri quartieri, dai giovani, che sono poco ascoltati e hanno spesso tante idee

Qual è la graduatoria degli interessi soddisfatti dal Piano tra Bilancio di Cariverona, imprenditori, cittadini veronesi, residenti?

Al primo posto inserirei la valorizzazione del patrimonio immobiliare della Fondazione; all’ultimo le esigenze dei residenti, che devono essere ascoltati. Ma siamo ancora in tempo.

E gli altri cittadini veronesi?

Non c’è contrapposizione tra residenti e cittadini di altri quartieri, perché anche costoro dovrebbero percepire il centro come un luogo dove vivere, dove stare bene. Invece si è formata una idea, una rappresentazione del centro storico veronese simile a quella, infelice, che si è formata per Venezia.

Quanto ha inciso e inciderà il Covid su questi problemi?

L’emergenza ha evidenziato proprio l’importanza di queste esigenze. Ad esempio, le trattorie veronesi abituate a servire specialmente popolazione residente – da Avesa a Mizzole – hanno avvertito meno la crisi. Mentre gli esercizi del centro storico, più orientati ad una clientela turistica, hanno sofferto moltissimo.

Voi tuttavia non rigettate il Piano, ma chiedete che sia adeguatamente discusso con la cittadinanza

Esatto. Le nostre sono critiche costruttive. Il Piano è una grande scommessa, Ma è indispensabile che esso si definisca con la partecipazione dei cittadini; che si coordini con gli strumenti della pianificazione urbanistica e del Piano della mobilità sostenibile; che sia integrato grazie ad un Concorso internazionale di idee così da rispondere con risposte precise alle criticità emerse.

Giorgio Massignan

Architetto ed urbanista, ambientalista, già Assessore alla pianificazione del Comune di Verona, responsabile di VeronaPolis

Quali osservazioni rivolge al Piano Folin, sotto un profilo urbanistico?

Il Piano sconta un limite fondamentale: appare scollato da una visione urbanistica complessiva, che valuti i diversi aspetti relativi all’equilibrio territoriale. I legittimi interessi di un privato, per quanto benemerito come la Fondazione, devono armonizzarsi con quelli di tutti i cittadini, decisi dall’amministrazione comunale. E poi c’è il problema
della mobilità. Le nuove strutture sarebbero grandi attrattrici di traffico e il sistema viario attuale ne soffrirebbe pesantemente. Il centro congressi potrà essere realizzato solo quando Verona sarà dotata di un serio ed efficiente sistema di trasporto pubblico e di un centro storico pedonalizzato.

Il Piano riflette opportunità economico-commerciali reali?

Per il centro congressi, e i servizi enogastronomiche e alberghieri penso di sì: queste sono attività che producono reddito, se gestite con accuratezza. Vedo molto più problematico il finanziamento dei musei e dei laboratori culturali, che, per quanto siano
auspicabili ed apprezzabili, sono iniziative molto meno redditizie. Il rischio è che i contenitori adibiti alla cultura rimangano vuoti in attesa di quale improbabile mecenate.

Il Piano Folin può effettivamente interrompere il declino demografico e socio-economico
del Centro storico?

Se il problema è il calo demografico del centro storico, ci sono soluzioni migliori per affrontarlo: ad esempio, destinando le caserme ad edilizia popolare riservate a giovani coppie. Un centro storico attrezzato di centri polifunzionali, musei, negozi, ristoranti ed alberghi, ma alla fine poco popolato, priverebbe Verona ed i veronesi della loro vera
identità.

Quanto ha inciso e può incidere l’emergenza Covid sulla fattibilità del Piano?

Probabilmente, il Covid ha rallentato l’operazione, così come, in questo periodo, è stato fatto per tutte le attività e progetti, ma non ne ha assolutamente bloccato l’iter. Credo che la Fondazione ritenga che, al termine dei lavori, i limiti posti dalla pandemia non esistano più.

Michele Bertucco

Consigliere Comunale, Capogruppo per Sinistra in Comune. Già candidato sindaco per il centro sinistra veronese nel 2007

Tra le forze politiche di opposizione a Palazzo Barbieri, molto critica la Sinistra in Comune di Michele Bertucco, per il quale “il Piano Folin abbozza delle destinazioni che non disegnano un futuro per il Centro storico, ma sanciscono soltanto che i gestori di questi sette immobili avranno mano libera nell’individuare le destinazioni che riterranno più opportune e più redditizie”. Secondo Bertucco, l’operazione ne ricorda altre: “lo stesso film lo abbiamo già visto con i Magazzini Generali, la cui riqualificazione è partita con l’assegnazione di funzioni pubbliche (il polo culturale) ed è terminata con una (quasi) perfetta privatizzazione degli spazi”. Altre critiche riguardano i problemi di mobilità, l’eccessiva offerta di servizi congressuali, la vaghezza dei progetti museali.

2 commenti su “Prospettiva Folin. Un’idea di Verona / 1

  1. Signori, non sono né un oratore né un urbanista quindi, la mia parola vale quella di un comunissimo cittadino. Da anni ho visto realizzare delle opere edilizie che sono sembrate più per abbrutire Verona che per abbellirla e, fregandosene del paesaggio storico, fondamento della città. Dal vecchio Macello con quella orrenda scattola di fronte alle mura Viscontee alla misera posa della “nuova” piazza dell’Isolo dove addirittura, ai tempi, sentì dire un dirigente che il verde era “demodé”! La porspettiva Folin è forse dotata di buone intenzioni ma vuota di senso etico-ambientale: il centro storico resterebbe asservito alla mobilità automotrice che è il più grave problema dell’area. Non vi è alcuna menzione di forme di accesso a tali impianti. Se ne deduce che la viabilità e la mobilità turistico-congressuale non sono minimamente prese in considerazione dal piano. Insomma, come sempre, se accendono fologoranti luci su dei “monumenti”, lasciando al buio l’intorno e i cittadini a cui si dice e pretende servire o attrarre.

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