La gestione del rischio tra scienza e politica

di Luciano Butti

Luciano Butti è avvocato e docente di Diritto internazionale ambientale presso l’Università di Padova

Raffaello, Scuola di Atene, Stanza della Segnatura presso i Palazzi Apostolici
Gruppo di matematici e astronomi.

Da sempre sostengo che occorra più scienza nelle decisioni politiche. Oggi aggiungo che occorre più politica nelle decisioni che si basano sulla scienza, soprattutto quando rischi diversi entrano fra loro in conflitto. L’esperienza della pandemia ha infatti dimostrato come, soprattutto nei momenti di crisi, occorra una politica coraggiosa, consapevole del proprio ruolo e in grado di assumersi le proprie responsabilità, che non possono essere scaricate su altri. Nemmeno sulla scienza.


Questo articolo si propone di indicare il fondamento filosofico e giuridico del ruolo decisivo della politica nella navigazione fra i due scogli, quello del virus e quello della crisi economica e delle relazioni fra le persone. Concetti simili possono riguardare ogni altra decisione discrezionale relativa alla gestione di rischi sanitari o ambientali. Per evitare i guasti della “politica difensiva”, occorre ricollocare le scelte dei rappresentanti del popolo al centro della scena. Questo percorso – la politica che ascolta la scienza (anzi, le scienze) e poi decide – presuppone naturalmente trasparenza assoluta e un patto di reciproca fiducia fra lo Stato e i cittadini.

Più scienza nella politica

La politica non può (legittimamente) adottare decisioni contrastanti con una valutazione dei rischi che sia consolidata nella scienza. Lo ha detto autorevolmente la Corte costituzionale, per esempio nella sentenza n. 116/2006:

“l’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica, … nell’interesse dell’ambiente e della salute umana, può essere giustificata costituzionalmente solo sulla base di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sovranazionali, a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi tecnico scientifici”.


Bisogna tuttavia comprendere bene ciò che questo significa. Non si deve infatti pensare che la scienza ordini, e la politica debba eseguire. Sarebbe semplicistico, incompatibile con le regole democratiche e sbagliato. Sarebbe semplicistico, perché non esiste un organismo che rappresenti “la scienza” (tutta la scienza e tutte le scienze), e dal quale quindi le direttive per la politica possano in ipotesi provenire. Sarebbe incompatibile con le regole democratiche, secondo le quali le decisioni fondamentali che riguardano la vita dei cittadini devono provenire dai rappresentanti del popolo. Sarebbe sbagliato, perché alla scienza (meglio, alle scienze, come spiegherò oltre) spetta la valutazione del rischio (meglio, dei rischi). Alla politica spetta invece la gestione di questi rischi, operata tenendo conto delle valutazioni della scienza (tutte).
L’obbligo di seguire la valutazione dei rischi condivisa nella scienza impedisce quindi alla politica di adottare decisioni gravemente contrastanti con essa, ma lascia (alla politica) un margine di discrezionalità: tanto più ampio quanto più autorevoli valutazioni scientifiche su un rischio sono ancora in parte controverse.

Rischi diversi, scienze diverse

Tuttavia spesso accade – e la pandemia ne è un esempio evidente – che la gestione o prevenzione di un rischio aumenti altri rischi (cd. Trade-Off). In questo caso non vi è una (sola) scienza da ascoltare, ma vi sono diverse branche della scienza, idealmente tutte rappresentate nei Comitati scientifici che assistono i decisori politici. Così, ad esempio, quanto alla pandemia.

  • Spetta a virologi ed epidemiologi valutare i rischi connessi al contagio e gli effetti di contenimento che le diverse misure di restrizione potrebbero comportare;
  • Spetta ai medici delle diverse discipline valutare i rischi di salute derivanti, in periodo di lockdown, dalla sostanziale “chiusura” dei servizi sanitari per le prestazioni non urgenti o dalle difficoltà di eseguire attività sportive;
  • Spetta agli economisti valutare i rischi della implementazione delle predette misure di contenimento, per i diversi settori della società, oltre al danno che esse potrebbero in particolare recare alle fasce più disagiate della popolazione;
  • Spetta a psicologi, educatori, antropologi, psichiatri, ecc. valutare gli effetti delle varie misure di restrizione sul benessere complessivo delle persone (quindi su una parte rilevante della loro salute) e sull’evoluzione dei rapporti sociali.

E così via. Con l’ovvia ma non inutile precisazione che quasi nessuno di questi rischi di norma presenta una dimensione certa, per tutti essendo invece necessario effettuare valutazioni statistiche e previsionali le più accurate possibili, anche applicando le regole della probabilità condizionata. Regole, queste, che ci consentono di (provare a) calcolare le variazioni, in aumento o in diminuzione, delle probabilità di un evento in relazione a fattori aggiuntivi.

Rischi concorrenti, più politica (buona)

Primo compito della (buona) politica è dunque quello di tener conto in modo adeguato di tutte le valutazioni dei rischi sopra sinteticamente descritte e di adottare le conseguenti decisioni, motivate e trasparenti. Tali decisioni vanno naturalmente aggiornate e corrette nel tempo, in una direzione o nell’altra, man mano che si affinano le nostre conoscenze sul rischio (nel nostro caso, il contagio), sulle strategie mediche a disposizione per contrastarlo, sugli effetti (positivi e negativi) delle misure di restrizione.

La politica deve poi essere impegnata soprattutto nel suo lavoro più importante. Che è quello di organizzare la sanità territoriale e il tracciamento (telematico e di persona) per gestire l’epidemia in attesa delle armi decisive che la scienza sta preparando: anticorpi monoclonali e vaccini. Come ha recentemente dichiarato il prof. Carlo La Vecchia, epidemiologo di fama internazionale, in attesa di queste armi (che arriveranno!), “l’obiettivo davvero realistico è contenere la diffusione del virus per poter permettere ai nostri ospedali di accogliere e curare i malati che hanno e avranno bisogno di un ricovero. La tendenza verso un nuovo aumento è iniziata, ma oggi il sistema è in grado di controllarla limitando le conseguenze gravi”.

Infine, compito della buona politica (scarsamente assolto in questa vicenda) sarebbe quello di tenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica non solo sui dati del contagio – positivi o negativi che siano nelle ultime 24 ore – ma anche sui continui e indiscutibili progressi della scienza, anche nell’affrontare una vicenda nuova e complessa come quella del virus. In questo sta uno dei principali fondamenti nell’ottimismo della conoscenza: un approccio necessario per il progresso dell’umanità, che quindi è un preciso dovere politico diffondere.

L’equilibrio come dovere costituzionale

Nell’adottare le scelte di propria competenza, la politica deve tener conto che decisioni non equilibrate – decisioni che, in altre parole, si occupassero di uno solo dei vari rischi – sarebbero incostituzionali. Ancora una volta, si tratta di un principio chiaramente descritto dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 85/2013. Facciamo parlare al riguardo la Corte, secondo la quale occorre sempre realizzare

“un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso. Infatti – prosegue la Corte – tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. … Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe ‘tiranno’ nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona”.

La middle way come dovere intellettuale

Non è soltanto per ragioni giuridico-costituzionali che la politica ha il dovere di tener conto in modo complessivo dei diversi e spesso confliggenti rischi. E’ anche per ragioni filosofiche che ciò deve accadere. Molti fra i pensatori più rilevanti nella storia millenaria delle diverse culture – Aristotele, Buddha e Confucio per esempio – sono stati sostenitori convinti dell’equilibrio come principale criterio di riconoscimento delle virtù personali e politiche. Chi fosse interessato a questa affascinante comparazione filosofica, troverà interessante il volume di Marinoff sulla “Middle Way” citato nella bibliografia.
Inoltre, molti fra gli intellettuali vissuti in aree di pressoché permanente conflitto hanno sostenuto convintamente l’utilità, la necessità e persino il fascino del compromesso. Secondo lo scrittore israeliano Amos Oz, per esempio, “il compromesso è vita”, e condizione indispensabile per il progresso sociale ed economico.

Dalla politica difensiva alla politica consapevole

Una politica che tenga conto dei diversi rischi – con piena consapevolezza del proprio ruolo centrale nella democrazia – è una politica che ha il coraggio di non ripiegarsi in decisioni “difensive”, mosse esclusivamente dal desiderio di diminuire la probabilità di contestazioni legali.
Vediamo qualche esempio, con riferimento al tema del doppio tampone negativo ed a quello della sicurezza dei bambini, dei quali queste pagine si sono più volte occupate.
Di fronte a questi temi, una politica difensiva – come quella da noi prevalente – chiede agli esperti se:
• Liberare le persone prima del doppio tampone sia assolutamente sicuro;
• Non far mettere le mascherine anche sotto i 10-12 anni sia assolutamente sicuro;

Gli esperti vengono così caricati di un compito improprio e impossibile. Improprio, perché la comparazione e gestione di rischi diversi, spesso in conflitto fra loro, spetta alla politica. Impossibile, perché, soprattutto di fronte ad un nemico “nuovo”, garanzie di sicurezza assoluta non possono quasi mai essere fornite.

E’ frequente pertanto che gli scienziati in questo modo interpellati si sentano in dovere di dare il suggerimento in assoluto più cautelativo, anche se molto probabilmente inutile. E il circolo vizioso, come abbiamo visto in questi mesi, prosegue a lungo.
Una politica più consapevole non si accontenterebbe delle domande sopra descritte. Chiederebbe invece espressamente agli scienziati anche quali siano le presumibili conseguenze, in termini di benessere, relazioni sociali, tenuta economica della società, di:
• Tenere segregate le persone sino al doppio tampone, nonostante le nuove linee guida OMS;
• Far mettere le mascherine anche sotto i 12 anni.
In questo modo la politica avrebbe un quadro completo, tenendo conto del quale sarebbe possibile adottare decisioni davvero equilibrate: proprio l’ormai famosa navigazione fra i due scogli, con continue e necessarie correzioni verso una direzione o l’altra.

Istituzioni vs cittadini: trasparenza e fiducia

La descritta relazione fra scienza e politica ha come obiettivo ultimo quello di realizzare, nelle condizioni di conoscenza storicamente date, il miglior possibile e complessivo interesse dei cittadini. Ora, questo non è possibile senza che si attivino le condizioni per la cd. “accountability” della politica: le condizioni, in altre parole, per cui la politica debba rispondere del perché delle proprie decisioni. La massima e spontanea trasparenza è la prima di queste condizioni.
La filosofia illuministica di Kant, sulla quale la nostra civiltà si basa, attribuisce infatti un peso fondamentale alle regole di verità e trasparenza, cui secondo Kant anche la legislazione (e quindi ogni decisione pubblica) deve sottostare.

Riferimenti bibliografici. Berti, In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica, Laterza, 2008; Corte costituzionale, sentenza n. 116/2006; Corte costituzionale, sentenza n. 83/2015; Kant, Critica della ragion pura, 1781.; Marinoff, The Middle Way: Finding Happiness in a World of Extremes, Sterling, 2007; Oz, Contro il fanatismo, Feltrinelli, 2004; Nagarjuna, The Fundamental Wisdom of the Middle Way, Oxford University Press, 1995; Ruffini, Il principio maggioritario. Profilo storico, Adelphi, 1927 (Ruffini fu uno dei pochissimi professori universitari che non aderì al Fascismo); Zagrebelsky (G.), Principî e voti. La Corte costituzionale e la politica, Einaudi, 2005.

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