Conservazione vs Innovazione
L’affaire Agsm, il ruolo di Verona e il nuovo discrimine tra le forze politiche
di Alberto Battaggia
Abstract. L’affaire Agsm va analizzato riferendolo al ruolo di Verona rispetto ai processi di modernizzazione e alla cultura politica con cui gli attori reagiscono ad essi. La destra veronese rompe con gli imprenditori: non propone nulla, ma è capace di bloccare i progetti sostenuti dalle forze economiche più importanti. Deludente l’atteggiamento del Partito democratico. Si delineano, anche per i prossimi appuntamenti elettorali, due grandi schieramenti: le forze politiche della Conservazione e quelle della Innovazione. E’ tempo che inizi un confronto tra chi si riconosce nella cultura della Innovazione a tutti i livelli.
L’affaire Agsm-Aim-A2A appare ai più il frutto guasto degli incomprensibili bizantinismi del ceto politico . Dice molto di più, invece, se lo si analizza sulla base di due questioni. La prima riguarda il ruolo dei sistemi urbani di piccola media dimensione, come Verona, rispetto agli imponenti processi di ristrutturazione e modernizzazione in corso nel sistema dei servizi, delle infrastrutture, della finanza. La seconda, l’atteggiamento culturale con cui reagiscono, rispetto a queste dinamiche, gli attori sociali e politici.
Una fusione di tutti contro tutti
Ricapitoliamo la vicenda. Dopo una serie sempre più improbabile di presidenti, un anno fa Agsm finisce in mano ad un manager vero, Daniele Finocchiaro, già dirigente in Glaxo, presidente dell’Università di Trento. Che ha tutti i numeri per sciogliere finalmente il nodo che assilla l’azienda da anni: le alleanze. Il sindaco, con l’appoggio di tutte le forze politiche della sua maggioranza consigliare, ne avalla il progetto di fusione: Agsm, assieme alla cuginetta Aim di Vicenza, si unirà ad A2A di Milano. Un colosso che renderebbe più forti i più deboli, salvandoli dall’agonia; ma che è molto più forte dei più deboli, esponendoli alla subalternità. I due fanno probabilmente un errore, vuoi per superbia; vuoi per prudenza: siccome credono di conoscere i loro polli, ossia il bizzarro contesto politico locale, blindano il “progetto industriale” con l’etichetta della “infungibilità” (ossia l’inconfrontabilità tecnica con altre soluzioni) e vanno sparati con preaccordi e rassicuranti relazioni degli advisor verso la firma. E’ un errore. Se sospettavano del reale consenso dei loro partiti, avrebbero dovuto costruirsene uno di riserva al di fuori, tra i cittadini, nei media, nell’opinione pubblica. Infatti, all’inizio di giugno, a giochi fatti, la Lega storce il naso: “Rifiutiamo intromissioni dei poteri forti” proclama Nicolò Zavarise, possibile prossimo candidato sindaco delle Lega; FdI si divide; Verona Domani si dissocia. Mentre il PD, nonostante l’invito del loro Federico Testa, presidente di Enea, molla l’osso e contribuisce all’affondamento dichiarando: “vorrei ma non posso”.
Le reazioni di imprenditori e sindacati
Le reazioni del mondo imprenditoriale veronese sono furibonde: Michele Bauli per Confindustria “La politica faccia sistema e superi ogni divisione”, il suo vice Bruno Giordano: “Il progetto di Finocchiaro è buono e va capito; Giuseppe Riello per la Camera di commercio: “Ma quali poteri forti, siamo tornati alla prima repubblica”! Anche i sindacati, Cisl e Uil e in buona parte Cgil, condividono la delusione.
La “destra” di governo veronese, a costo di rimetterci il sindaco, se ne fa un baffo degli industriali. Su un progetto centrale come questo, gli imprenditori più importanti della città si vedono remare contro, a casa loro, la prima forza politica del Paese. Troppo povera per indicare orizzonti, essa ritrova centralità impedendo che altri facciano. Anche la destra d’opposizione condivide l’ostilità al progetto A2A per ragioni simili: “la fusione tra AGSM e A2A è di fatto una svendita ai milanesi”, sostiene Flavio Tosi. Per gli uni e per gli altri si tratta di difendere, assieme alla “veronesità” dei consigli di amministrazione, un ceto politico locale altrimenti scavalcato dagli imperativi delle fusioni. E’ una reazione comprensibile. Ma è anche lungimirante e davvero sensibile alle convenienze dei cittadini?
Il partito della Conservazione
L’impressione è che le forze della destra, nel suo insieme, come un tempo, siano tornate a svolgere un ruolo di conservazione. Le ipotesi federaliste, anni fa, suggerivano un’esigenza di cambiamento modernizzatore: superare campanilismi e miserie centralistiche costruendo grandi regioni industriali europee. La Padania avrebbe avuto come capitale Milano, non tante piccole patrie provinciali in competizione tra loro. Ora, anche sul nostro territorio, la scomposizione sociale determinatasi dalla crisi di questi anni ha ricombinato le carte, nei rapporti tra società e politica, configurando due fronti politico-sociali. Il primo partito è quello che vediamo in azione. Quello della Conservazione, della difesa di un sistema di interessi che interpretano la rappresentanza politica non come investimento progettuale, come sfida a ciò che viene, ma come argine al possibile decadimento economico; come difesa identitaria, protezione di una comunità che percepisce come minacce, di volta in volta, grandi banchieri, immigrati, 5g, aziende farmaceutiche, Finocchiaro, europeisti… Alcune componenti di essa si servono di residui ideologici inattuali – i saluti fascisti, le crociate integraliste antilaiciste, i drug-test nelle scuole, le vie intitolate ad Almirante – ma adeguati, secondo loro, a contenere segmenti di cittadini che in fondo chiedono molto poco: continuare a sopravvivere in qualche modo.
Il partito dell’Innovazione
Il secondo è quello dell’Innovazione, della modernizzazione in chiave europea, del governo strategico del territorio, sensibile alla qualità dei sistemi infrastrutturali, alle logiche internazionali di mercato, alle economie di scala, a sistemi formativi d’eccellenza, ai sistemi finanziari evoluti, alla qualità degli skill richiesti dal mercato del lavoro. Ha meno da offrire nell’immediato, ragiona sul medio periodo, promette risultati promettenti, ma solo all’orizzonte. Ne fanno parte i segmenti più evoluti dell’economia industriale, numerosi professionisti, quadri aziendali, l’università. A ben guardare, è il partito, in termini culturali, più autenticamente di “destra” nel senso liberale ed internazionale del termine. Quello che separa nettamente le istituzioni dal mercato, gli interessi privati da quelli collettivi, consapevole che i primi devono la loro esistenza al rispetto dei secondi.
Una destra a cui a volte sembra guardare anche il nuovo Tosi post-leghista, liberale, europeista, federalista…; ma che per ora – come si è visto sulla questione Agsm – si esprime più sul piano tutto sommato indolore delle dichiarazioni ideologiche, che nei fatti: non è poco, ma non è abbastanza.
I limiti del Pd. Corretto ed ininfluente
In realtà, in questo momento, a Verona, nessuna forza politica esprime con chiarezza una cultura di governo di questo genere. Il Pd? Ma figuriamoci. Basta vedere come si è mosso sull’affaire Agm-A2A. Nonostante il deragliamento confuso degli avversari politici, il partito di Zingaretti ha zingarettato alla grande. Invece di fare mancare il numero legale in cda, il Pd poteva appoggiare il progetto di Finocchiaro: da una parte avrebbe dimostrato “cultura di governo”; dall’altro, avrebbe costretto il sindaco a farsi bocciare clamorosamente il piano dal suo consiglio comunale, mettendolo ad un passo e forse più dalle dimissioni. Alla fine, è prevalsa una gnagnera corretta ma inconcludente di cui nessuno porterà memoria alcuna. Anche per questo, crediamo, Orietta Salemi ha salutato tutti e scelto Italia Viva.
Cercare l’Innovazione
E poi chi c’è? Fermenti, progetti embrionali, piccoli cantieri, vedremo. Specialmente, ci sono un sacco di elettori veronesi che non sanno che votare, perché vedono, davanti a sé, quello che vediamo noi. Poco e confuso. Costoro – lo abbiamo capito a suon di astensionismo di elezione in elezione- piuttosto che turarsi il naso, non votano proprio. Sarebbe interessante cercare di capirli proponendo loro non qualcosa di “nuovo” (l’aggettivo politico più nauseante, nella sua rituale banalità); ma di “innovativo”, appunto.
La cultura dell’innovazione non è una rappresentazione ideologica, una messinscena padronale: smettiamola con queste caricature. E’ la condizione necessaria dei processi produttivi, delle relazioni commerciali, della ricerca universitaria, della formazione, delle start up, di chi lavora: è la realtà di oggi. Perché questa energia culturale non dovrebbe trasferirsi anche nell’amministrazione cittadina? Il governo di una città dovrebbe respirare l’aria più ossigenata che viene dalle forze vive della società, non i miasmi della conservazione. Verona ha smesso di essere contadina da molto tempo. Sarebbe ora che tutti se ne accorgessero. A partire dai famosi “poteri forti”, ossia gli interessi sociali dotati di una qualche compattezza e in grado di rappresentarli con un minimo di razionalità: che cosa hanno da offrire e garantire loro, alla resa dei conti, le forze politiche “vecchie” anche quando si dichiarano “nuove”, ripiegate su se stesse, storicamente minate da personalismi privi di connotati politici effettivi? Che rinnegano la mattina quello che hanno spergiurato la sera? Che sono disposte ad affondare le creature da loro stesse create?
Verona: una crisi di ruolo
Tre giorni fa, “La città che sale” ha promosso un interessante dibattito sui rapporti tra centri urbani e territori provinciali (Provincia come innovazione. Specificità territoriali e sviluppo). Lo scenario che è emerso vede, da una parte, le città e le elités urbane, forti di conoscenze, potere, tecnologie, connesse tra loro in una rete planetaria, “dentro” il mondo che conta; dall’altra, le province e le maggioranze territoriali, subalterne, sempre alla rincorsa delle prime, sacrificate alle forze implacabili della globalizzazione. E’ uno scenario di enorme complessità. Verona, come altre città venete, è l’esempio concreto della crisi di identità che ha investito molte città settentrionali di piccola-media dimensione rispetto alle città-guida, a partire dalla onnivora Milano. Quale futuro è destinato al nostro territorio? Accettare un ruolo ancillare, a livello finanziario, industriale, della gestione dei principali servizi sociali, rinunciando a velleitarie battaglie di difesa di una propria autonomia; o rivendicare orgogliosamente, a tutti i costi, una specificità territoriale non delegabile ad altri soggetti esterni? Quella per contrastare la fusione di Agsm con A2A, per tornare a quello che abbiamo davanti agli occhi, è una battaglia di retroguardia o un nobile appello alla irrinunciabile veronesità delle nostre strutture.
Le forze politiche che si contenderanno la guida della città nei prossimi mesi dovranno cercare di rispondere anche a queste domande. Quelle che guardano al futuro con uno sguardo lungo, che riconoscono in una cultura dell’innovazione la principale risorsa da impiegare per fare crescere la città, dovrebbero iniziare a parlarsi.
Per un affaire di questo tipo ritengo che, come già riportato e suggerito nell’articolo, occorresse dapprima ottenere un largo consenso dei cittadini veronesi.
Ma un consenso su cosa? A mio avviso esso andava ricercato su una proposta che ne dimostrasse i vantaggi per la città di Verona.
Per quanto possa sembrare banale, la domanda che bisognava porsi era se la fusione potesse apportare o meno un vantaggio a lungo termine per Verona e quindi per i veronesi.
Per capirlo andava fatta un’analisi (forse è stata fatta, di sicuro non è facile trovarne documentazione sul web) che né evidenziasse i pro e i contro, i punti di forza e di debolezza, le opportunità e i rischi. In gergo aziendale un’analisi di questo tipo si chiama Swot (questo strumento di analisi viene spesso utilizzato quando i parametri da confrontare non sono tutti omogenei, ovvero quando non si tratta di un mero raffronto di sole variabili economiche, ma anche di variabili di natura strategica, politica, ecc…).
Solo a fronte di un analisi approfondita di questo tipo forse si sarebbe potuto fare chiarezza e forse si sarebbe potuto ottenere un largo consenso dei veronesi sulla fusione o sulla non fusione.
Oggi la situazione è che i veronesi non ci hanno capito nulla e chi ha provato a capirci ha più la sensazione che dietro vi siano state logiche politiche piuttosto che di merito.
Peccato, un’altra occasione persa per avvicinare gli elettori alla vita politica cittadina.
Credo anch’io che ci siano stati tanti errori; il timore è che i veti incrociati finiscano per impedire qualsiasi soluzione. A2A è apparsa a molti uno sbocco, anche se non il più desiderabile, perché appariva finalmente come una soluzione concreta dopo anni di discorsi oziosi. Si ricomincia tutto da capo? Con le stesse forze politiche che prima hanno appoggiato e poi rinnegato il progetto? Quanti anni passeranno? Si fatica a credere che ora si farà sul serio, democraticamente, coinvolgendo l’opinione pubblica. Bisognerebbe anche chiarire che gli unici interessi da difendere, rispetto alle soluzioni possibili, sono quelli dei cittadini, la qualità dei servizi da loro fruiti. Non quelli del ceto politico che governa le aziende erogatrici. Hanno prevalso “logiche politiche, piuttosto che di merito”: hai perfettamente ragione. Proprio per questo bisogna sottrarre il confronto agli slogan semplicistici che confondono invece di chiarire – ad esempio la “veronesità” – e sforzarsi di guardare in profondità, sotto le chiacchiere.
Come già dimostrato a Brescia nella fusione A2A – AeB , il parametro dell’infungibilità dell’offert per scavalcare la gara pubblica, è stato confutato dal TAR. Quindi perché continuare? Io sono fermamente e politicamente convinto che sia necessaria una aggregazione, ma AGSM ha un grande know-how in termini di creazione e gestione di parchi eolici. Comparto che diverrà fondamentale in futuro per essere competitivi nel campo energetico. Questo diamante che oggi rappresenta AGSM, lo si vorrebbe a Milano ma anche a Bolzano o in Emilia Romagna. Abbiamo veramente la possibilità di fare aggregazione tra piccoli e lottare per una multiutility del Veneto e quel know-how di AGSM rappresenterebbe proprio il vantaggio in termini commerciali , rispetto agli altri colossi. Quindi perché accontentarsi di essere parte di un sistema, quando si può essere protagonisti in campo energetico e guidare questa aggregazione invece di subirla? Meno politica e più management competente.
Posto che un’analisi SWOT condotta con rigore ed onestà intellettuale mostrerebbe quanto sia malefica la gestione politica di qualunque cosa, per gli ovvi motivi legati ai veri obiettivi di un “gestore” teso solo a massimizzare il proprio consenso e non certo l’efficienza, che l’attuale giunta mostra i consueti pesantissimi limiti intellettuali, morali ed operativi di sempre, che l’atteggiamento del PD (in particolare, ma non solo, veronese) è deludente solo per chi mai ne abbia voluto vedere l’inconsistenza culturale e programmatica declinata nell’incapacità di formulare proposte utili, concrete e realizzabili, preferendo idealizzare quella sorta di “socialismo irreale” che lo permea e si traduce solo nella richiesta di maggiore intervento pubblico e che, infine, in ciò si ritrova anche la parte oggi grillina, qui sopra ben rappresentata dall’incompetente Gennari, che vaneggia di aggregazioni tra piccoli mostrando di capire nulla di mercato – così come di energia, quando definisce “comparto che diverrà fondamentale” gli inefficienti parchi eolici – e vuole semplicemente ancora in mano ai locali il potere che rappresentano le poltrone di controllo, contro “lo straniero” … posto tutto ciò, dicevo, il nodo è davvero la difficoltà ad innovare di tutti coloro che magari ne cianciano ma restano, nei fatti, ancorati alla comodità dello status quo che accomuna destra e sinistra, uniti in un trasversale partito della conservazione che ha pochissimi avversari tra gli individui e, soprattutto, nessuno schieramento politico dotato di competenze e visione da fronteggiare.
Aggiungo che, da ex-imprenditore (anche confindustriale), business angel, mentor di start-up, divulgatore della cultura dell’innovazione mi capitò di avanzare proposte … rimaste tutte, ovviamente, lettera morta.
Innovazione’? parola incomprensibile nel panorama politico veronese, tanto a destra quanto a sinistra, ognuno chiuso nelle proprie fortezze ideologiche ( …ed interessi …attenzione però non si tratta di interessi di portata economica enormi, ma semplici poltroncine di consigliere circoscrizionale!) e di categorie di pensiero ormai superate.
Concordo sull’analisi, e credo che i tempi siano maturi per un vero cambiamento basato sulle competenze,sul senso civico e di appartenenza ad una città vitale qual’è Verona .
Buona serata
P.s. sarebbe utile una discussione sul mondo della scuola.
Grazie, Patrizio: crediamo anche noi che sia necessaria promuovere una cultura dell’innovazione, nella società (a partire dalla scuola) come in politica. Sulla scuola avevamo in cantiere un convegno in marzo che il lockdown ci ha costretto a rimandare, ma lo riproporremo e ti avviserò per tempo, anche per A collaborare, se ti farà piacere. A presto!