Uno, nessuno e centomila. Il relativismo della destra veronese

di Alberto Battaggia

Abstract. La destra veronese soffre di relativismo pirandelliano. Le avvisaglie dello squagliamento della maggioranza con il caso Segre-Almirante. Poi la figuraccia del drug test, ritirato in sordina. Dopo la pausa del lockdown, il colpo di grazia dal caso Agsm-A2A e dalla “Zona Trenta”. La frammentazione polinesiana della destra veronese. Crocifissi e fasci littori per mascherare il nulla. Flavio Tosi potrebbe riprendersi la destra, ma per fare che, visti gli interlocutori? La destra è complessivamente scollata dai settori più qualificati della società civile veronese.

Un bel mattino, ci racconta Pirandello, Vitangelo Mostarda si sente dire dalla moglie Dida: “ti pende verso destra”!, riferendosi al suo naso. L’osservazione scatena l’inferno, nel mondo fino allora bene ordinato di Vitangelo. Se la moglie lo vede così, chissà come lo vedono gli altri! Alla fine, in una devastante crisi di identità, Vitangelo dissiperà il suo patrimonio e si ritirerà in un ospizio, felice di essere diventato Nessuno. Il rischio, per l’avvocato Sboarina, sembrerebbe minore, se non altro perché i  consiglieri della sua maggioranza sono solo 26 e non centomila; e alcune decine gli altri protagonisti della destra veronese. Ma sulla relatività dei loro punti di vista nessuno scherza.

Avvisaglie di squagliamento

Una prima avvisaglia si era avuta in occasione del terrificante “Convegno della famiglia” di fine marzo 2019. Mauro Bonato, capogruppo della Lega, inorridito dagli anatemi medioevali scagliati contro le libertà del mondo moderno, si dimise clamorosamente dall’incarico e dal partito con un  dignitoso “c’è un limite a tutto!”. Probabilmente non ne poteva più anche di altre cose. Poi venne, il gennaio scorso, la sciagurata vicenda Segre-Almirante. Va detto che non ci furono all’apparenza contestazioni interne; ma di fronte alla sollevazione dei media nazionali sulla tragicomica accoppiata celebrativa tra vittima (deportata ad Auschwitz) e carnefice (l’alleato repubblichino dei nazisti), i nostri di Palazzo Barbieri balbettarono qualche giustificazione e poi lasciarono perdere fischiettando (non ci risulta che il Sindaco abbia poi trasmesso al Prefetto la proposta della Giunta). Insomma, tenuta ideologica gran poca.

Il drug test

Per rifarsi un po’ il trucco, la giunta ci provò in febbraio con il drug test alle scuole superiori. “Oh – devono avere pensato – chi resisterà alle lusinghe del Grande Controllo Adolescenziale”? Beh, tutti, o quasi. Docenti, studenti, genitori… E anche il senatore Bertacco, autorevole esponente di Fratelli d’Italia, che sgranò gli occhi dicendo: “ma questi sono matti”.  Una trappola, come definirla altrimenti? Una idea talmente sgangherata che intervenne perfino la Dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale, la d.ssa Augusta Celada, a spiegare che nessuno poteva firmare alcun protocollo sanitario di quel tipo (prelievi urinari in classe, cani che sarebbero circolati nei corridoi delle scuole…), sconfessando anche il suo dirigente provinciale e alcuni presidi che, in un misto di protagonismo prussiano e ingenuità, avevano pensato di fare bella figura. Sorvoliamo sulle vicende giudiziarie – del tutto indipendenti, ma pesanti come un macigno – che colpirono pochi giorni dopo il dirigente sanitario che aveva definito il progetto.

Il lockdown: la Provvidenza in politica

Il lockdown di febbraio deve essere apparso, a Palazzo Barbieri, come il segno della Provvidenza in politica. E chi se lo sarebbe più ricordato Almirante o il drug test? Nel frattempo – nella giustificata distrazione generale – era andato avanti il progetto fusione A2A-Agsm, preparato come dio comanda da un manager di qualità come Daniele Finocchiaro. Ma con l’avvicinarsi della fase 2 la normalità è ritornata anche per il caravanserraglio di Palazzo Barbieri. Ora non si trattava più di preti invasati o di inni alla castità, ma di strategie industriali e montagne di investimenti. Di questioni serie. Un aiuto è venuto perfino da Federico Testa, il presidente di Enea, che, intervistato, ha detto, superando le divisioni politiche: “meglio A2A che niente”! Mentre Paolo Paternoster, parlamentare veronese della Lega, iniziava a tuonare contro a più non posso. E lo stesso Stefano Valdegamberi, consigliere regionale filozaiano.
L’entropia della destra veronese ha raggiunto l’apice pochi giorni fa sulla zonatrentizzazione delle strade interne alla cinta bastionaria della città. 30 kmh al massimo per incentivare l’utilizzo delle biciclette e delle scarpe. Delle misure ragionevoli,  “che la Giunta nel suo insieme aveva approvato il 6 maggio scorso”, ha osservato, bastonato, il povero sindaco. Ed ora? “Inutili e grottesche, revocatele”, hanno sentenziato FdI, Lega, Verona Domani: forze di maggioranza.  Il sindaco e l’assessora all’urbanistica hanno preso, messo via e stanno ora cercando di rabberciare.  
Ieri, 2 giugno, l’assessore leghista Zavarise ha festeggiato la Repubblica sancendo formalmente l’opposizione a tutti i livelli della Lega alla fusione Agsm-A2A.
Possiamo dire che questa esperienza amministrativa assomiglia tanto ad un disastrino?

Che cos’è la destra veronese?

Il fatto è che l’arcipelago politico della “destra” veronese presenta una frammentarietà polinesiana. Da una parte, ci sono ancora le forme-partito, come la Lega neosovranista di Salvini e Fratelli d’Italia, in evidente concorrenza anche a Verona. Le mosse dei loro leader– con Sboarina, contro Sboarina, per A2A, contro A2A, con L’Area 30, contro l’Area 30.. – vanno riferite non solo alle schermaglie locali, ma anche ad esigenze di visibilità e differenziazione transprovinciali.
Dall’altra, numerose e combattive, ci sono le iniziative just in time, confezionate in questi ultimi anni all’occorrenza e ritagliate, in genere, su presunti “bisogni dei cittadini” e/o sulle ambizioni di singole personalità (più “o” che “e”). Insomma comete dell’iperspazio postideologico. A partire da Battiti, che nel 2017 ha portato l’avv. Sboarina alla vittoria: solo che in tre anni 5 dei suoi 11 consiglieri hanno cambiato casacca, transitando ad altri gruppi. Poi troviamo  “Prima Verona”, nata da Mauro Bonato, già leghista auto espulso, come si ricordava, e da Michele Croce, già leader di “Verona Pulita” ( lista autoprodotta per le amministrative del 2017),  promosso all’Agec dal sindaco Tosi, successivamente da questi rinnegato; promosso dal sindaco Sboarina all’Agsm, poi da questi rinnegato e ora in stand by antisboariniano. Nelle sue parole, il movimento è nato  dopo che Verona Pulita “ha esaurito il suo compito moralizzatore” (Mah: arresti, denunce, scandali scoperchiati grazie a loro…? e quando mai?). “Verona Domani”, infine,  è una specie di partito ramificato anche in provincia, frutto delle fatiche del consigliere regionale Stefano Casali, già sodale di Flavio Tosi; e di Matteo Gasparato, attuale presidente del Consorzio Zai, ex Forza Italia… Abbastanza recente è il movimento civico “Generazione Verona”, guidato da Fabio Venturi, ex braccio destro di Flavio Tosi.

E poi Flavio Tosi

Già,  Flavio Tosi. Di queste esperienze è stato senz’altro l’anticipatore storico: il nuovo fenomeno delle liste civiche capaci di raccogliere più consensi dei partiti nacque a Verona con lui anni e anni fa, ma seguendo un  modello che la Lega – un partito assai esperto – aveva inaugurato con successo anche altrove, come a Treviso con Gentilini. A Verona, con Tosi, hanno dovuto fare i conti tutti quelli di destra un minimo ambiziosi. Un ruolo cardine assunto prima come fedele militante della Lega Nord di Bossi; poi, man mano che acquisiva esperienze significative – l’assessorato alla sanità regionale prima e poi, naturalmente, due tornate da sindaco – sempre più autonomo nelle scelte. Come mai quasi tutti hanno rotto con lui, Federico Sboarina compreso? Nessuno lo sa. Prendiamo Fabio Venturi, che era legatissimo al suo sindaco. Nessuno è in grado di spiegare le ragioni politiche della frattura. Che – ci si aspetta –  dovrebbero essere ideologiche, amministrative, legate a progetti mancati, a prese di posizione…: qualcosa. Pochi giorni fa, Venturi ha avuto un lungo colloquio con Daniele Finocchiaro e ha deciso di appoggiare il progetto A2A. Perché? Forse perché Tosi la pensa all’opposto? Nel 2019 Venturi aveva detto: “Operazione occulta di certi industriali”. L’anno dopo il giudizio diventa “La strada giusta”. Oppure consideriamo Verona Domani, che pure, di questa galassia, da un paio di anni, sembra il soggetto più ambizioso, ramificato anche in Provincia e finalizzato a coordinare gruppi e gruppetti. Se andiamo a leggere i documenti fondativi, si capisce poco. Che significa “c’è bisogno di innovazione, di una scossa…”?

Tanta destra da scoppiare

A Verona il bacino elettorale della “destra”  è da sempre ampiamente maggioritario. Tuttavia, il ceto politico che nelle varie articolazioni la rappresenta non riesce a compattarsi, a mantenere le posizioni, a pensare anche di sera quello che pensa la mattina. Non riesce a garantire stabilità, coerenza nello svolgimento dei programmi ed incorre a volte in scivoloni dei quali ogni tanto ride (quando va bene) o inorridisce (quando va male) l’intera opinione pubblica nazionale.
Una  forte personalità politica come Flavio Tosi può senz’altro riprovare a spendere le sue esperienze per combinare il puzzle, smontare le ambizioni di Tizio, aggiustare quelle di Caio, lusingare quelle di Mario, dividere, recuperare…;  ma alla fine, con chi si ritroverebbe, sul groppone, a governare? Se gli interlocutori sono sempre e solo gli stessi, avvitati sempre negli stessi giochi, pronti a fondare un movimento “a favore dei cittadini”, a scambiare un posto in un ente per il voto su una delibera, come garantire un programma di governo all’altezza di una città piccola ma evoluta come Verona? Possiamo pensare che le sfide economiche, culturali, tecnologiche che attendono anche la nostra città possano essere affrontate con  una estenuante contrattazione amministrativa quotidiana?

Il vero problema della destra veronese: le idee

A noi sembra che il vero problema di questa destra, anche a Verona, sia una cronica  mancanza di idee vere. Lo sbandieramento di crocifissi o fasci littori è un illusorio mascheramento del nulla. Idem, simmetricamente, i “bisogni dei cittadini, al di là delle ideologie”. Lo scollamento tra ceto politico e settori qualificati del mondo economico, finanziario, accademico, culturale è palese. Precisiamo: diversi imprenditori hanno sempre appoggiato il probabile sindaco, ma sulla base dell’istinto, più che dell’Idea.  Ecco  perché quello che sta passando l’avvocato Sboarina oggi, lo passerebbe qualsiasi altro sindaco che si basasse su una destra simile e, in particolare, su una maggioranza  simile, tutta chiacchiere senza nemmeno il distintivo.
Anche a lui, fatalmente, la moglie direbbe un mattino, indicandogli il naso: “caro, ma non lo vedi che ti pende verso destra”?

4 giugno 2020

4 commenti su “Uno, nessuno e centomila. Il relativismo della destra veronese

  1. Buongiorno,capisco il vs punto di vista però dopo tanti anni che seguo la politica sia a livello locale che nazionale sono arrivato alla conclusione che ormai la politica è nelle mani di gente non alla altezza del compito,le persone valide si sono ritirate e non vogliono più immischiarsi con questa politica del FB,dei Social,dei 5*,di Salvini.di Meloni,di patriotismo a proprio uso,di campanilismo; cos’ altro dire?

    1. La ringrazio per il commento. Penso anch’io che, al di là degli schieramenti, ci sia un problema generale che è quello che lei indica. Credo però che si debba cercare di invertire la tendenza, anche partendo da piccole esperienze; persone in gamba disponibili ce ne sono più di quello che sembra, ma bisogna fornire loro delle occasioni per metterle in condizione di confrontarsi con altri e offrire un contributo concreto. Buona giornata. Alberto Battaggia

  2. Capisco che l’analisi si focalizzi sulla “destra” veronese – con riferimento anche all’ambito nazionale – a motivo del fatto che qui essa amministra e, dunque, rende più evidenti le proprie carenze operative ma anche culturali.
    E non v’è dubbio che quanto riportato sia veritiero, ma a me pare che il punto non sia la suddivisione tra destra e sinistra, categorie novecentesche che possono generare confusione e, soggettivamente ma poco realisticamente, ipotizzate di diverso spessore: io ritengo che l’oggetto di critica e discussione debba essere la politica in generale, la cui parte definita “sinistra” non è meglio dello schieramento contrapposto e l’ambito di governo nazionale si erge a lapalissiana e inequivocabile conferma mostrando, parimenti, di avere poche idee nuove – rectius: praticamente nessuna – e comunque sbagliate.
    Aggiungo una constatazione che ai più, forse, sfugge per conformismo ed abitudine: di fondo, non c’è vera contrapposizione tra i due schieramenti – se non per la gestione familistica del potere – giacché la genesi comune, che ne uniforma la visione di base, è quel socialismo dimostratosi fallimentare sempre e ovunque nel mondo, semplicemente declinato in modi differenti ma sempre con il riferimento dello Stato – e della mano pubblica in generale – come controllore e gestore di ogni cosa, oltre che accusatorio di un fantomatico “liberismo” che questo Paese mai ha conosciuto se non nei proclami totalmente disattesi dagli stessi che se ne riempivano la bocca.
    James Buchanan e la sua Public Choice Theory dovrebbero ormai essere patrimonio culturale comune e sono, invece, passati invano.

    1. La mia analisi non sottintende (nelle intenzioni) che la sinistra sia “meglio” della destra. E’ una riflessione limitata a questa parte dello schieramento perché nella nostra città la destra è al governo da anni e da anni incontra delle gravi difficoltà nell’azione amministrativa, nonostante il consenso maggioritario. Penso anch’io che ciò dipenda da una situazione generale di degrado del sistema politico a cui hanno contribuito forze diverse, pure se in modi diversi. Condivido anche il giudizio di ambiguità che caratterizza oggi la coppia di aggettivi dx-sx, dato il rimescolamento di riferimenti sociali e programmatici che si è verificato negli ultimi decenni; e pure la sua considerazione sul mancato liberismo che ha caratterizzato i governi di ogni colore. Basti pensare alla vicenda Alitalia o a quella della Rai: delle barzellette ereditate puntualmente di governo in governo quale che sia il colore. Grazie per l’intervento.

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