Della irresponsabilità e di chi la pratica
di Carlo Saletti
La storia è piena di irresponsabilità e di irresponsabili che la propagano. Primo caso: la supremazia dell’ideologia sul principio di realtà.. Per Giorgio Agamben, il Coronavirus serve a giustificare lo “stato di eccezione”. Secondo caso: la supremazia del reality show sul principio di realtà. Vittorio Sgarbi alla Camera: “ci vogliono convincere che c’è una tragedia in atto”. Due posizioni accomunate per la irragionevolezza e l’insensatezza dei loro enunciati.
La storia è piena di irresponsabilità e di irresponsabili che la propagano. Le crisi e i conflitti ne esaltano la vis. Sono in genere campioni di intelligenza, per lo meno per quanto viene loro riconosciuto negli ecosistemi in cui si muovono. Non irriducibili paranoici, ma maestri di argomentazione e di conoscenza ammirati e coccolati per le loro qualità e capacità intellettuali.
Prenderò in esame due posizioni sulla condizione epidemica e sulle risposte che il governo e le amministrazioni locali hanno adottato per contenere l’avanzare del contagio. Posizioni che, se pure per canali comunicativi utilizzati e modalità espressive diverse, possono accomunarsi per la irragionevolezza e l’insensatezza dei loro enunciati. Ciascuna di esse, secondo strategie argomentativo proprie, costruisce e struttura una ‘figura’ della negazione rispetto alla doxa prevalente, che pare aver accettato come risposta razionale necessaria l’imposizione di pesanti restrizioni sociali, economiche e personali al Paese.
I. G. A. o della supremazia dell’ideologia sul principio di realtà
Il primo è un notissimo divo della filosofia contemporanea e accademico romano che in un articolo pubblicato su “Il Manifesto”, il 26 febbraio, denuncia il fatto che “i media e le autorità si adoperano per diffondere un clima di panico, provocando un vero e proprio stato di eccezione, con gravi limitazione dei movimenti e una sospensione del normale funzionamento delle condizioni di vita e di lavoro in intere regioni”.
Il biopotere sarebbe dunque arrivato a utilizzare lo stesso virus, dichiarando di fatto una guerra batteriologica alla popolazione del pianeta (e se così fosse ci sarebbe materia giuridica a sufficienza per rimettere in funzione la corte penale internazionale dell’Aia…). Ciò che interessa al filosofo, universalmente noto e di conseguenza universalmente citato, è ritrovare nella risposta all’epidemia (che in quell’ultima settimana di febbraio l’OMS non l’aveva ancora innalzato al grado di pandemia) quel “dispositivo” a cui tanta energia intellettuale ha dedicato negli anni.
Lo stato epidemico sarebbe, dunque, frutto di un’invenzione, svelamento che gli offre il destro per denunciare “la tendenza crescente a usare lo stato di eccezione come paradigma normale di governo” – il governo delle democrazie mature come la nostra, si badi. In ossequio al proprio grimaldello concettuale, l’illustre uomo può concludere brillantemente il suo scritto, enunciando il vizioso paradosso che affligge la nostra modernità: “Così, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarla”.
Agamben: “Nei decreti del governo la volontà di azzerare ogni spazio sociale”
In un secondo intervento, apparso sulla rivista on-line Quodlibet l’ 11 marzo, il filosofo si spinge a indicare nei decreti e nelle misure governative – nello specifico, nel consiglio di tenere una distanza di sicurezza nelle interazioni personali – la volontà di azzerare ogni spazio sociale. Il raffinato pensatore spiega l’equiparazione che il dispositivo securitario avanzerebbe tra ‘contatto’ e ‘contagio’ insistendo sul fatto che “l’altro uomo, chiunque egli sia, anche una persona cara, non dev’essere né avvicinato né toccato e occorre anzi mettere fra noi e lui una distanza […]. Il nostro prossimo è stato abolito.”
Nelle argomentazioni del celebrato pensatore non vi è alcun posto per il dubbio. Dubitare, d’altronde, può condurre all’inciampare… dunque nessuna considerazione sull’immobilità come una possibile strategia personale vincente (viene il mente, a tal proposito, il curioso calambour “perché stare fermi quando di può stare immobili”). Davanti al rapido avanzare del nemico, in realtà, son bastati pochi giorni e poche ore per mandare in rovina l’assetto ideologico degli argomenti del pensatore.
Al riguardo, torna alla mente una storiella. Si racconta che a un giovane ingegnere russo capitò, verso la fine degli anni Trenta del secolo scorso, di girare in lungo e in largo il vasto impero, per esser stato incaricato di osservare le titaniche imprese che il regime aveva attuato. La visione degli imponenti cantieri lo portò a concludere che la maggior parte di essi esistevano solo nella propaganda, erano stati annunciati sí, ma in gran parte mai completati o realizzati approssimativamente. Tornato a Mosca ebbe occasione di partecipare a un incontro pubblico del partito in cui il compagno che parlava magniloquentemente illustrava la meraviglia di quelle opere. Quando ebbe finito, il giovane ingegnere chiese la parola e, in breve, spiegò che lui li aveva visitato i cantieri e che la realtà era molto diversa da quello che era stato raccontato. “Compagno, gli rispose il politico, dovresti viaggiare di meno e leggere di più i giornali“.
Ecco, al filosofo va riservata la stessa osservazione, che andrebbe tuttavia rovesciata. “Compagno, dovresti pensare di meno e viaggiare di piu“. Naturalmente, quando di potrà tornare a spostarsi liberamente.
II. V. S. o della supremazia del reality show sul principio di realtà
Noto in Italia questo secondo, quanto il primo è conosciuto all’estero, omaggiato del titolo di professore dai giornalisti e dai presentatori che da almeno quattro lustri lo invitato alle loro trasmissioni di infotainment , il critico d’arte e politico di Ferrara ha dissentito energicamente e in varie occasioni dalle decisioni prese dal governo in risposta al diffondersi della epidemia virale.
“Dov’è il pericolo per chiudere le scuole, i musei, i teatri? È una violenza contro la cultura”
Uomo afflitto da una inarrestabile logorrea e che sulla “tuttologia” ha costruito il suo ruolo di icona televisiva, il critico pop è intervenuto in varie occasioni sul l’epidemia e da pulpiti di diversa natura. Può essere interessante assumere come ur-testo del suo persistente negazionismo l’allocuzione nella Camera dei deputati, tenuta il 26 febbraio scorso (per coincidenza nello stesso giorno in cui si poteva leggere lo scritto di Agamben sul “Il manifesto, vedi sopra). In quell’occasione il deputato iscritto al gruppo misto mostrava con veemenza la sua contrarietà ai provvedimenti oggetto della valutazione parlamentare e che sarebbero stati votati in giornata. Insistendo sulla inesistenza del pericolo per la salute derivante dal contagio, denunciava come criminale la scelta di chi avrebbe votato a favore: “Dov’è il pericolo per chiudere le scuole, i musei, i teatri? È una violenza contro la cultura, contro la civiltà, contro il buonsenso e noi votiamo questo, chi vota sarà responsabile di essere stato complice di procurato allarme, di una grande finzione, di una presa per il culo del mondo […]. È una cosa totalmente ridicola!”
Assumendo radicalmente il parere di una addetta ai lavori, la dottoressa Gismondo e negando di fatto il drammatico dibattito in atto tra virologi, il critico concludeva con parole infiammate: “Vorrei ricordare alla vostra attenzione la dichiarazione […] di una studiosa che si chiama Maria Rita Gismondo, che dice: ‘A me sembra una follia; si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Non è così, è una follia, uccide di più l’influenza […]’. Ogni voto che noi diamo è un voto contro l’Italia, contro i cittadini, contro l’economia. Ve ne pentirete, sarete maledetti, lo dico qui perché rimanga la voce che l’emergenza non c’è.”
Ergendosi nell’aula a profeta di sventura, come se la sventura non fosse già tra noi, il critico ha chiuso il suo intervento, proprio come si chiude il primo tempo del Rigoletto di Verdi, con l’atto performativo estremo, quello della minaccia dei presenti, di coloro per lo meno che avrebbero votato a favore delle richieste del governo. Delle polemiche seguite a questo intervento, delle repliche dell’interessato, che hanno alimentato il quotidiano caotico mercato del talk show , secondo un modello conversazionale che costituisce la cifre di questa tipologia televisiva, non terrò qui conto.
Più interessante considerare un secondo intervento, affidato al profilo Facebook del critico, postato alle 6 e 29 del 9 marzo con il significativo titolo “#coronavirus Il virus del buco del culo. Vi spiego perché”. Successivamente rimosso dall’interessato, il video che negava il virus è immediatamente divenuto virale ed ha contagiato l’orbe mediatico.
Sgarbi: “#coronavirus Il virus del buco del culo. Vi spiego perché”
Lontano dallo scranno parlamentare, il privato cittadino arringa i numerosi followers in maniche di camicia e gilet, accomodato sulla poltroncina di un suntuoso appartamento, nel quale si presume stia trascorrendo il suo confinamento. L’ambiente domestico in cui è immerso fa da sfondo a quella che si potrebbe definire un capitolo di quella Trivialliteratur di cui è maestro indiscusso. “Io sono al centro di una tempesta televisiva, che ho denunciato e denuncio […] che vuole a tutti i costi convincere gli italiani che c’è una tragedia in atto”.
La spiegazione del perché gli italiani sarebbero caduti in un imbroglio prosegue secondo la dinamica che contraddistingue le performances televisive del critico e passa velocemente al turpe eloquio e alla diffamazione, reiterata ipnoticaente, come se esse stesse fossero argomentazioni a sostegno. “Tutti voi sapete che, anche quelli che stanno a Codogno, non c’è nessun pericolo, di nessun tipo che debba cambiare la nostra vita, di nessun tipo, e che andando in giro non ti capita un cazzo! Eppure, […] sentiamo cosa dice il dottor Pergliasco, ma chi cazzo è Pergliasco? Ma chi cazzo è Burioni? Che cazzo hanno fatto della loro vita? Il virologo, ma che virus hanno scoperto? Quello del buco del culo”.
Il richiamo alla falsità delle informazioni riguardo la pericolosità del virus per il suo impatto sistemico lasciano il posto, nella sconclusionate intemerata del tuttologo pop, all’attacco personale a due degli specialisti più ascoltati in questi giorni, fonti da screditare perché portatrici di una verità che egli, semplicemente, cancella dall’orizzonte dei possibili. Non vi è nessuna pietas per le vittime di questa ‘finzione’ nelle parole del ferrarese, per la scia di lutti che l’epidemia lascia dietro il suo rapinoso passaggio, per il fatto che Jeder stirbt für sich allein (come suonava il titolo del gran romanzo di Hans Fallada), per il trauma subito da interi territori, che si coglie appieno leggendo le curve statistiche e nel proliferare sui quotidiani locali delle pagine dedicate agli annunci mortuari (“L’eco di Bergamo” ha moltiplicato in queste ore per dieci lo spazio riservato ai necrologi).
Non vi è sentimento nelle parole dello storico dell’arte, ma la schiuma rilasciata dalla rabbia e dal livore e un’estremo gesto di scherno vagamente reazionario nella sua promessa di recarsi di persona in visita alla città di Codogno, esempio di quel dark tourism che porta sempre più turisti a visitare la città abbandonata di Prypjat’, ai piedi di Černobyl. Laddove nel romano Agamben è la critica radicale del sistema liberal-democratico a fornire le motivazioni necessarie e sufficienti per spiegare le ragioni del complotto politico-mediatico, sono l’iperbole provocatoria, l’insulto e il disprezzo tipico di un certa avanguardia per tutto ciò che risulta rassicurante (l’essere sempre e comunque fuori dal coro), a spingere il ferrarese Sgarbi a inoltrarsi in un territorio rispetto al quale è del tutto impreparato. Fuori dal reality televisivo, che tanta fortuna ha portato alla sua immagine pubblica, c’è la realtà che l’uomo, in definitiva, dà l’impressione di temere grandemente.
III. In guisa di conclusione lampo
Come concludere? Forse con l’auspicio che una certa miseria della filosofia e la certezza della futilità della chiacchera televisiva possano venir meno, la prima, e rafforzarsi, la seconda. Oppure, più modestamente, con l’augurio che il filosofo venga citato con minore frequenza e lo storico dell’arte invitato con maggior parsimonia ai festini televisivi, soprattutto se tenuti nel tempo della peste.
Pure la stupidità è un virus e gli sproloqui di Agamben e Sgarbi ne sono la dimostrazione…
CONCORDO 100%
Hai già detto tutto tu. Ma credo che dopo la tempesta, si conteranno i morti, si quantificheranno i danni , la vita di moltissimi dovrà ricominciare come dopo una guerra ma purtroppo se avremo sconfitto il virus non ci saremo liberati degli squallidi figuranti mediatici che torneranno a riempire l’aria e le teste di ignoranti fedeli con le loro ” volutamente” insensate scorribande pseudo intellettuali. Non c’è vaccino contro l’opportunismo, contro il cinismo ancor più grave se praticato da chi comunque “ignorante ” non è.
decisamente signorile il tuo pensare…infonde calma metodologica…invidiabile…
Grazie Sergio, ma credo che non ci può essere buona terapia se non c’è buona e fredda diagnosi. Oggi si parla di ” narrazione ” degli eventi, vale a dire non tanto l’analisi degli stessi, quanto la teatralizzazione degli stessi con il preciso intento di stimolare la ” pancia” piuttosto che ” la mente.
La prassi mediatica è figlia della comunicazione pubblicitaria , tende a creare bisogni e a fornire corrispondenti prodotti.
Ovviamente bisogni e relativi prodotti li decide il ” puparo “.
speriamo che la tempesta in corso spolveri adeguatamente queste fastididiose sabbie…non parlo certo di maledizione divina…