Cercasi e-learning, disperatamente
di Alberto Battaggia
L’emergenza dettata dal Coronavirus evidenzia i colossali ritardi del sistema scolastico nazionale in materia di didattica digitale. Un’inadeguatezza che viene da lontano, e che coinvolge i docenti, privi di una formazione professionale adeguata, vuoi per carenza di offerta, vuoi per difetto di volontà; i dirigenti scolastici, quasi sempre a digiuno di strategie in questo campo; gli istituti, poveri di risorse e lucidità nelle scelte infrastrutturali.
Il Piano Nazionale della Scuola Digitale
Ci aveva provato, con tanta buona volontà politica ed un team di pedagogisti degni di questo nome, Matteo Renzi, col famigerato decreto della “Buona scuola”, nel 2014, che comprendeva il Piano Nazionale della Scuola Digitale. Un documento, quest’ultimo, impostato secondo i criteri della più aggiornata cultura pedagogico-didattica internazionale. Cercando di recuperare i tantissimi anni di ritardo accumulati dal nostro sistema scolastico, il Piano invitava ad una decisa svolta nel senso della didattica partecipata, collaborativa, laboratoriale.
Una didattica “centrata sul discente”, sulla sua attiva partecipazione all’apprendimento. Come pensare di insegnare nello stesso modo di quaranta o sessanta anni fa in un mondo che mette a disposizione di un ragazzo una quantità enorme di informazioni testuali o audiovisive; un’infinità di risorse culturali facilmente accessibili; software spesso gratuiti con cui produrre raffinati prodotti multimediali; strumenti di comunicazione che lo collegano con tutto il mondo? Possibile fare finta di niente e pensare che imparare significhi ascoltare il professore e leggere il manuale?
Un fallimento prevedibile
Le cose però non sono andate e non stanno andando come si sperava. E le responsabilità sono piuttosto articolate. I docenti, diciamolo, non sono stati granché disponibili ad aggiornare il loro stile professionale. Per tanti motivi: contrattuali: lo scellerato scambio tra sicurezza del posto di lavoro e basso salario; professionali: l’aggiornamento e la formazione non sono, incredibilmente, obbligatori, per questa categoria; sindacali: quelli della scuola non sono stati né veri, combattivi, sindacati, né società scientifiche, facendo male l’uno e l’altro mestiere; dirigenziali: ai presidi la famosa “autonomia” non ha mai conferito poteri e determinazione professionale adeguati.
Un equivoco fondamentale
Ma forse non è tutta colpa degli operatori scolastici. Ha molto pesato, in questo campo specifico, un equivoco fondamentale molto radicato, L’utilizzazione didattica di tecnologie digitali – come di qualsiasi altra tecnologia funzionale all’insegnamento, gessetto e lavagna compresi – è una questione essenzialmente metodologica, non “tecnica”. Ieri come oggi. Un insegnante, davanti alla sua classe, deve chiedersi innanzitutto quali obiettivi di apprendimento intenda perseguire. E in base ad essi deve sapere scegliere la metodologia e gli strumenti più adatti a perseguirli. Questo vale anche e specialmente per le tecnologie digitali.
Un enorme numero di applicazioni
In questi anni, il mondo dell’informatica ha sfornato una quantità enorme di applicazioni dedicate alla didattica o utilizzabili anche per scopo didattico. Dalla rete è possibile scaricare, spesso gratuitamente, un’infinità di applicazioni sw per scrivere, disegnare, comunicare, archiviare, condividere, elaborare mappe concettuali, produrre presentazioni, fare quiz strutturati… Ognuna di esse dotata di caratteristiche proprie, funzionali a obiettivi didattici specifici.
Didattica frontale e didattica partecipata
In astratto, le metodologie di insegnamento possibili disegnano un arco con due estremi opposti: uno “tradizionale”, che prevede una relazione frontale, unilaterale, trasmissiva tra docente e discente; ed uno, “innovativo”, che prevede la piena partecipazione del discente alla “costruzione” del proprio sapere. In poche parole: nel primo caso si tratta di travasare in qualche modo dei contenuti da un “vaso” sapiente, il professore o il manuale scolastico, ad una scodella, il discente ignorante. Nel secondo, il protagonista della produzione di conoscenza è lo stesso discente, che, seguito e stimolato dal docente, domina il processo di apprendimento con proprie attività di ricerca, esplorazione e verifica. Nel dibattito esperto, si parla di passaggio da schemi di apprendimento “cognitivistici“, culturalmente egemoni fino agli anni Ottanta del secolo scorso; a schemi di apprendimento “costruttivistici“, impostisi nella ricerca scientifica e nella prassi didattica internazionali a partire dagli anni Novanta. Oggi siamo arrivati al 2020!
Innovazione di prodotto e innovazione di processo
Facciamo degli esempi. Consideriamo le famose “presentazioni” PowerPoint, che nell’immaginario collettivo medio della classe docente rappresentano il simbolo della didattica moderna ed innovativa. Bene, da un punto di vista pedagogico, quando se ne servono i docenti, esse sono uno strumento assolutamente tradizionale. Le presentazioni infatti rinforzano il carattere frontale e trasmissivo della lezione, non incidendo affatto sulla relazione pedagogica tra discente e docente. Il “bravo” docente che utilizza PowerPoint, introduce una innovazione “di prodotto” (PowerPoint) ma non di “processo”: che è da considerarsi l’unica vera forma di innovazione didattica
.
La didattica digitale: laboratorialità e spirito critico
Se invece si affida ai ragazzi, magari in gruppo, il compito di progettare ed elaborare un ipertesto, l’impostazione metodologica cambia completamente. Essi infatti dovranno svolgere delle attività di ricerca su web, confrontare fonti diverse, trarre delle informazioni testuali e multimediali, rielaborarle, connetterle con dei “link” in modo concettualmente rigoroso, impostare degli strumenti di navigazione coerenti. In certi casi, lo stesso strumento può giocare ruoli didattici opposti. Torniamo all’esempio di prima, quello delle presentazioni. Se sono i discenti e non i docenti ad elaborarle, i ragazzi dovranno svolgere delle attività ben più formative della semplice visione di qualche slide, dovendo svolgere delle ricerche per acquisire informazioni da rielaborare e concettualizzarle in modo coerente. Lo stesso strumento svolge, didatticamente, funzioni opposte. Tanti docenti, fuorviati da interventi formativi infelici o del tutto privi di formazione specifica, non hanno inteso che la “didattica digitale”, correttamente concepita, esalta e non deprime le componenti nobili di questa disciplina, valorizzando, nei discenti, lo spirito critico, l’intelligenza esplorativa, la creatività.
Gli inviti alla “didattica a distanza”
Succede così che di fronte all’emergenza più assoluta – le scuole chiuse! – gli appelli ad adottare prontamente forme di “didattica a distanza” appaiono del tutto irrealistici. La pianificazione di un “programma” digitalizzato di attività di apprendimento, anche trimestrale, richiede un’attenta pianificazione ed un’esperienza che non si può improvvisare, pena il caos. I docenti in grado di affrontare la situazione con disinvoltura sono solo quelli che in questi anni hanno maturato un minimo di esperienza in questo campo. Che sanno come funziona Google Drive, Google Classroom, Moodle, solo per citare alcuni dei servizi e delle piattaforme più note. Che sono abituati ad ordinare e fare condividere dei materiali scientifici e didattici digitali su una piattaforma, che sono abituati a dialogare individualmente e collettivamente con i loro ragazzi attraverso la messaggistica. L’impressione che si ha, negli appelli ministeriali o dirigenziali più meno disperati di fronte all’emergenza, è di una generale ed evidente mancanza di consapevolezza dei termini pedagogici didattici che la questione della didattica a distanza pone.
Quello che si può fare
Quello che ragionevolmente si può fare, almeno per un numero significativo di classi, è travasare forme di didattica tradizionale in digitale, collocando su qualche spazio condiviso delle risorse didattiche da fruire individualmente (testi, audio, video) e in riferimento ai quali fare svolgere delle esercitazioni. Stop. Meglio che niente, certo, Ma non chiamatela “didattica a distanza”.
Licia Landi ha centrato in pieno. Qui si trova la summa della sua visione didattica, che invito tutti a conoscere. Se non c’è riflessione metodogica a monte con l’integrazione del digitale nella didattica tradizionale a cosa serve ora precipitarsi su una piattaforma qualunque per fronteggiare una crisi che a questo punto non è più solo sanitaria, ma di società, di prospettiva, di futuro?Il futuro nostro e dei ragazzi…