No al drug test!
Comunicato stampa del 7 febbraio
DI NUOVO, VERONA MODELLO NEGATIVO. PROGETTO INEFFICACE, DISEDUCATIVO E NON TESTATO
LE DIPENDENZE NON SI COMBATTONO COSI’
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Suscita sconcerto nella comunità veronese, tra genitori, studenti e tra gli esperti del settore, la recente proposta di somministrazione di un “drug test” al quale sottoporre gli studenti veronesi delle scuole superiori e medie. Il protocollo, incautamente avvallato dal Provveditore agli studi di Verona, col Comune di Verona e l’Ulss 9, a partire da una legge regionale promossa dalla assessore Donazzan, presenta numerose e gravi criticità sul piano dell’effettiva efficacia preventiva; dell’opportunità pedagogico-educativa; del clima sociale che contribuisce a creare, criminalizzando l’adolescenza.
Progetto non testato. Una concezione militare della prevenzione
“Diversi gli aspetti preoccupanti – osserva Alberto Battaggia, presidente de ‘La città che sale’ – Il progetto è di assai dubbia efficacia; prevede l’ingresso nelle scuole di personale sanitario del tutto estraneo ad un contesto educativo; è assente un piano di supporto alle famiglie; e, per di più, non risulta testato: quando mai si usano come cavie gli stessi adolescenti destinatari?” Sconcertano anche altri aspetti: “Si prevede l’impiego di cani – osserva Battaggia – che entrerebbero nelle scuole e sugli autobus degli studenti non sulla base di un sospetto fondato, o di una segnalazione, ma preventivamente, a tappeto, secondo una concezione militare della lotta alla droga: inaccettabile in una comunità civile e in un contesto così fragile come quello educativo adolescenziale”.
Fabio Lugoboni, Medicina delle dipendenze Azienda ospedaliera: “Un intervento sconsiderato”
Del tutto inaccettabile appare il drug test proposto dal Comune al prof. Fabio Lugoboni, responsabile di Medicina delle Dipendenze della Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona: “E’ fuorviante la rappresentazione statistica del problema fornita dal dr. Serpelloni; e del tutto scorretta la strategia proposta – spiega il prof. Lugoboni – Non è vero che il 30 per cento dei ragazzi si droga: questi dati, dell’Espad, un serissimo organismo europeo, si riferiscono a chi ha assunto almeno una volta nella vita una sostanza; in realtà i dati relativi ai giovani veronesi che consumano con una relativa frequenza sostanze di vario genere, raccolti da noi su 900 ragazzi, equivalgono alle medie europee, sempre raccolte dall’Espad: 2,7 per cento! Non si deve fare un uso terroristico delle statistiche”. L’altro problema riguarda le famiglie, alle quali verrebbe scaricata l’informazione senza alcun supporto: “che dovrebbero fare i genitori, una volta avuta la notizia che il figlio o si rifiuta al test oppure che è risultato positivo? Pensiamo ai genitori separati. L’unico strumento che hanno i genitori per fronteggiare problemi dei figli di questo tipo è il dialogo. Pensano di favorirlo così”?
Questione educativa e famiglie abbandonate a se stesse. Il parere della Comunità Saman
Attraverso il controllo delle urine in ambito scolastico si pone un intervento del tutto decontestualizzato. Personale sanitario, senza alcuna specifica conoscenza del minore, opera più come forza pubblica che come professionista dell’ascolto e abbandona la famiglia al proprio destino nel momento in cui l’esito fosse positivo. “Nessun servizio che si occupa di minori lavorerebbe così – osserva Achille Saletti, presidente di Saman, una delle più importanti comunità di recupero nazionali – Al contrario, l’aggancio con il minore che assume sostanze va fatto in modo molto più soft, lasciando almeno inizialmente sullo sfondo il consumo effettuato”.
Cosa misura il test?
Assai dubbia anche l’efficacia intrinseca del test. Risulterebbe positivo sia il consumatore saltuario che quello quotidiano. “Questo è un punto non da poco – continua Saletti – perché gli abusatori di sostanze sono, mediamente, ben noti alla scuola e alla famiglia, dati i sintomi che la convivenza rende facilmente individuabili: cambio repentino amicizie, iter scolastico che si fa più arduo, abbandono di abitudini o stili di vita precedenti ecc.”.. Inoltre, chiedere loro il consenso per fare drug test, significa già metterli in una condizione di conflitto permanente destinato, in caso di positività, ad aumentare.
Nessuna rete di protezione
Ci si domanda quale rete di protezione venga assicurata alla famiglia e alle possibili reazioni dell’adolescente che nei casi più gravi potrebbero comportare atti autolesivi o peggio, oppure abbandoni scolastici e conflittualità permanente. Che un servizio per le dipendenze rappresenti tale rete di protezione lascia molti dubbi. “Da anni – continua Saletti – i servizi specialistici più che sul sintomo ( uso di sostanze ) lavorano sul disagio adolescenziale o sul recupero di abilità”.
La questione dell’alcool
Ulteriore riflessione riguarda l’alcool, problema ben superiore alla stessa cannabis, come sanno i servizi di Pronto Soccorso che accolgono i giovani in coma etilico al fine settimana. “Un test potrà segnalare l’uso di alcol a distanza di poche ore – continua Saletti – e, quindi, a meno di non immaginare che un ragazzo beva prima di entrare a scuola, difficilmente vi saranno positivi. Al contrario, la cannabis risulta essere la sostanza i cui metaboliti rimangono più a lungo nelle urine con una emivita di parecchi giorni a differenza delle altre sostanze che in 36/48 ore potrebbero essere smaltite. Una ultima critica: gli approcci repressivi, lungi dal diminuire condotte a rischio, facilitano graduali spostamenti verso condotte sempre a rischio ma più mimetizzabili. Il caso classico è privilegiare l’alcol rispetto ad altre sostanze. “Nelle carceri inglesi – conclude il presidente di Saman, – i detenuti hanno optato per cannabinoidi sintetici non scopribili con i normali test”.
Il preside Enzo Gradizzi: “L’ITS Lorgna-Pindemonte dice no!”
Un pacato e meditato rifiuto all’adesione è venuto dall’ITS Lorgna-Pindemonte. “Il nostro Consiglio di Istituto ha ritenuto di non aderire – spiega il Dirigente Scolastico, Enzo Gradizzi – rilevando evidenti scompensi sul piano della privacy. Infatti, in difformità all’art.106 del D.P.R 309/90, si sottolinea apertamente ‘che l’anonimato nei minorenni non può costituire deroga alla comunicazione tempestiva ai genitori della condizione di rischio per la salute, per poter attuare quanto prima i dovuti interventi’. Tutta la documentazione, inoltre, sarà mantenuta presso la struttura sanitaria e non nella scuola. Questo tipo di intervento – ha sottolineato Gradizzi – rischia di costituire una grave lesione del rapporto di fiducia, tra docenti e studenti, che è essenziale al ‘fare scuola’.
Il Consiglio d’Istituto, dopo aver sottolineato che l’adolescenza è un mondo delicatissimo e fragile, che ha bisogno di cura e sensibilità, ha rilevato che “un problema complesso come quello delle dipendenze non possa essere affrontato con tanta frettolosità ed approssimazione, creando più danni che auspicabili soluzioni”, ha concluso il preside del Pindemonte.
La rete degli studenti
L’esempio del Pindemonte Anche la Rete degli Studenti Medi di Verona, in assemblea giovedì 5 nell’aula magna del Liceo S. Maffei, ha criticato aspramente il progetto: “Pensiamo sia solo una mossa propagandistica – osserva Nicolò Tambosso, studente delle superiori, socio de “La città che sale” – : se si pensasse veramente all’interesse della scuola e degli studenti si agirebbe diversamente, non andando a creare inevitabilmente un clima di repressione. Questo provvedimento deve essere rimesso in discussione. Fino ad allora, invitiamo i presidi a seguire l’esempio dell’ITS Lorgna-Pindemonte, rifiutandosi di lasciar passare questo tipo di proposte. La scuola è il luogo della cultura e come tale, crediamo sia necessario che la prevenzione venga insegnata e donata tramite la cultura stessa, madre del pensiero critico, e non con il terrore”.