Focus. Sovranismo
Di Alberto Battaggia
Abstract. I numerosi movimenti sovranisti sorti dopo la crisi del 2007 non hanno sfondato in Europa. Il sovranismo non va confuso col patriottismo ed il nazionalismo. I sovranisti lamentano gli eccessivi poteri della UE, che effettivamente ha anche competenze di tipo “federale” senza essere una federazione. Questo le ha impedito di affrontare la crisi con la determinazione e l’efficacia dimostrate dagli Usa di Obama. Esiste un sovranismo di destra, identitario, rozzo e autoritario; ed un sovranismo di sinistra, culturalmente più attrezzato, ma non meno irrealistico. Entrambi convergono nel rivendicare un recupero di sovranità nazionale – a partire dalla gestione della moneta – che permetta di rilanciare un modello keynesiano di gestione dell’economia.
Uno spettro di aggira per l’Europa
Uno spettro si aggira per l’Europa…: il sovranismo! Una parafrasi eccessiva? Forse; se non altro perché nel primo grande appuntamento con la storia – le elezioni europee del maggio scorso – i fan della sovranità nazionale non hanno sfondato. La nuova alleanza sovranista, “Identità e Democrazia”, che avrebbe dovuto coordinare l’azione di tutti i gruppi parlamentari “antieuropeisti”, ha raccolto alla fine 73 membri provenienti da 9 paesi diversi: solo il quinto gruppo per numeri al Parlamento Europeo, dietro ai popolari (179), i socialisti (153), i liberali (106) e i verdi (74).
Tuttavia, in Europa e ancor più in Italia, i “sovranisti” hanno dimostrato di sapere attirare molti consensi, se la Lega di Matteo Salvini ha raggiunto il 34 per cento dei voti e Fratelli di Italia di Giorgia Meloni il 6,4. Giustificata perciò l’angoscia di coloro, nel nostro Paese, che ritengono il processo di integrazione europea sia stato e sia una tappa di civiltà irrinunciabile. La questione della sovranità, d’altra parte, non è affatto banale, al di là delle evidenti strumentalizzazioni elettorali o del modo a volte pittoresco in cui essa viene sbandierata. E non è un tema coltivato solo da formazioni politiche di “destra”: se queste ultime sono quelle più visibili e attive, esiste anche un sovranismo anticapitalistico, di tradizione neomarxista, non privo di suggestioni teoriche.
Sovranità
E’ il potere supremo di governo, originario (cioè non derivante da organi superiori) e indipendente (all’esterno) da ogni altro potere, pur potendo lo Stato porne delle limitazioni in ambito internazionale.
Essa appartiene esclusivamente al popolo nella sua totalità, pur potendo essere esercitato nei soli modi e nelle sole forme previste dalla Costituzione (vedasi, in proposito, l’art. 1 della Carta). Brocardi.it
Le origini del sovranismo
Ma facciamo un po’ di ordine. I primi a dichiararsi “sovranisti“, nel secondo dopoguerra, sono stati i movimenti indipendentistici francofoni del Quebec, che nel 1967 rivendicavano l’indipendenza della regione dalla Confederazione del Canada. Il termine è poi riemerso in Europa, dopo la crisi del 2009, per indicare le forze politiche che si oppongono al progressivo trasferimento di poteri e competenze dallo Stato nazionale all’Unione Europea. I sovranisti ne denunciano, in particolare, due aspetti: l’inaccettabile cessione di poteri un tempo appartenuti ai governi nazionali, prima fra tutti la sovranità monetaria; e la carenza di legittimità democratica degli organismi comunitari. I “burocrati di Bruxelles” imporrebbero norme e vincoli agli stati membri senza avere un reale mandato elettorale per farlo.
Se la prima rivendicazione assomiglia a quella indipendentistica dei predecessori canadesi, la seconda appare molto più insidiosa, perché tocca un nervo scoperto dell’architettura istituzionale della Unione Europea. Quest’ultima risulta infatti un curioso ircocervo, visto che combina la gestione di alcuni poteri molto incisivi di tipo federale, come il governo di un’unica moneta e la regolamentazione normativa del più importante mercato del mondo, senza essere veramente uno stato federale, dotato di adeguate forme di rappresentanza politica democratica.
L’Unione Europea
L’Unione europea è un’organizzazione politica ed economica sovranazionale, che comprende 28 Stati membri d’Europa.
Regolata a livello giuridico dal diritto comunitario con il suo ordinamento giuridico e al vertice la Costituzione Europea, le sue funzioni politico-economiche la rendono simile per certi aspetti a una federazione di stati (per es. per quanto riguarda gli affari monetari o le politiche ambientali), mentre in altri settori l’Unione è più vicina a una confederazione (mancando di una politica interna e politica industriale comuni) o a un’organizzazione politica sovranazionale (come per la politica estera).
La Ue, infatti, è “semplicemente” un ordinamento sovranazionale di stati indipendenti che si sono spossessati, volontariamente, del controllo di buona parte dei fondamentali strumenti di politica economica prima a loro disposizione: tassi di interesse, bilancio, debito pubblico, moneta…
Questa limitazione è aggravata dal fatto che essa non viene compensata da forme comunitarie compiute di democrazia. Il Parlamento europeo, che pure viene eletto a suffragio universale dai cittadini degli stati membri, non ha potere legislativo proprio, ma “adotta la legislazione dell’UE, insieme al Consiglio dell’UE, sulla base delle proposte della Commissione europea” , gli organi effettivi di governo della UE, espressione diretta dei governi. In sostanza, la UE gode di alcuni poteri tipicamente federali, senza essere una federazione. Un problema di carenza di “sovranità democratica” della UE, perciò, c’è sempre stato.
D’altra parte, considerando la secolare, sanguinosissima storia europea, e le fortissime specificità etnico-identitarie dei suoi popoli, come non riconoscere un carattere miracoloso alla pure imperfetta unione raggiunta faticosamente a partire dai Trattati di Roma del 1957 ? La natura ambigua della UE è stata perciò accettata come il migliore dei compromessi. Una sorta di vizio costitutivo accettabile in presenza dei vantaggi – economici e politici – che l’adesione ad essa garantiva agli stati membri. La devastante crisi economica di questi anni, con la crisi di consenso patita dai governi di ogni colore, ha fatto riemergere il problema. I tradizionali strumenti di gestione delle sofferenze sociali, tutti, direttamente o indirettamente, legati alla gestione della spesa pubblica, sono risultati spuntati dai condizionamenti imposti dalla UE ai bilanci nazionali.
Movimenti sovranisti europei
I movimenti europei in qualche modo definibili come sovranisti, specialmente in relazione alla Unione Europea, dalla quale non senza oscillazioni promuovono o non escludono l’uscita sono, in Italia, Casa Pound, La Lega di Salvini e Fratelli di Italia. Troviamo poi i greci di Alba Dorata, i danesi del Partito del Popolo, gli olandesi Partito della Libertà di Geert Wilders e Forum per la Democrazia; i cechi del Partito della Libertà e della Democrazia diretta; i fiamminghi del Vlaams Belang; il Partito dei veri finlandesi e il Partito della Gente in Estonia. Meno noti i ciprioti di Elam, i danesi dell’ Alleanza Rosso Verde, il neogollista Debout la France di Nicolas Dupont-Aignan, il Movimento Jobbik in Ungheria. Molto critici verso la UE, ma fautori di un’ Europa “diversa” il Rassemblement National di Marine Le Pen, il Partito della Liberta (FPÖ) austriaco, il tedesco Alternative fur Deutschland, il partito di Viktor Orban in Ungheria ma anche i 5 Stelle italiani.
Sovranismo, patriottismo, nazionalismo.
Il sovranismo non va confuso né con il patriottismo ottocentesco, né con il nazionalismo novecentesco. In età moderna, il patriottismo ha avuto il momento di più alta espansione ideale e politica nell’ambito europeo durante il sec. XIX , in relazione con lo sviluppo dell’idea di nazione e con le lotte per l’indipendenza. Si trattò di un’esperienza sostanzialmente democratica, nel senso che gli ideologi del patriottismo riconoscevano una pari dignità a tutti quei popoli, identificati su base etnica, che dimostravano, lottando per la propria emancipazione, di essere anche delle “nazioni”, ossia dei popoli degni di autogovernarsi. Non a caso Giuseppe Mazzini fondò, oltre a La Giovine Italia, anche La Giovine Europa, concepita come un insieme di tante patrie, di pari dignità, provvidenzialmente volute,
Il nazionalismo, invece, che si iniziò a profilare negli ultimi decenni dell’800, si caratterizzò perché aggiungeva, alla valorizzazione della patria, una presunta superiorità, rispetto ad altre nazioni, derivante da vantati primati storici, etnici o razziali e una concezione fortemente autoritaria dello stato. I movimenti di tipo fascista e nazista che sconvolsero l’Europa nella prima metà del ‘900 furono il frutto più sconvolgente di quelle posizioni.
D’altra parte, la UE si è dimostrata impotente o troppo lenta nelle decisioni per affrontare efficacemente la crisi economica in corso. Per cui la rivendicazione di quella sovranità sottratta alle singole nazioni non è apparsa così peregrina a molti elettori europei. Tanto che metà dei cittadini britannici, aizzati da politici senza scrupoli, hanno portato allo stupefacente esito della Brexit.
La UE, di fronte alla crisi drammatica di questi anni, ha dimostrato notevoli incertezze e lentezze, per alcuni anche iniquità, nei provvedimenti assunti. Ma per avere quello slancio e quella capacità di governo che gli USA di Obama hanno dimostrato di avere per affrontare e risolvere la terrificante crisi dei “subprime” già nel 2009, con un intervento pubblico colossale di 787 miliardi di dollari a sostegno del sistema bancario, la UE avrebbe dovuto avere un’altra, analoga natura: quella, appunto, federale. Se la UE evolvesse istituzionalmente in questo senso, la questione della sovranità si risolverebbe non restringendola nuovamente entro i confini degli stati, ma, al contrario, allargandola a livello continentale, come auspicato dai federalisti. Certo è che mai come oggi il sogno federalistico appare utopistico. Eppure…
Il sovranismo di destra
Le posizioni sovraniste si sono manifestate in questi anni specialmente in partiti collocabili a destra, anche estrema, degli schieramenti politici tradizionali. La critica a Bruxelles è stata accompagnata da slogan xenofobi, a volte razzisti, rivolti contro i movimenti migratori; da appelli a presunte identità cristiane contrapposte ai nuovi invasori musulmani e africani; da anacronistici richiami ad un passato travolto dalla perversa modernizzazione capitalistica. Il sovranismo di destra, in altri termini, utilizza un repertorio retorico di tipo nazionalistico, giocato sui temi del sangue, della stirpe, delle appartenenze ancestrali, dei radicamenti religiosi: “Lo scontro è fra la libertà e la dittatura. Siamo un baluardo di libertà e non bisogna avere paura. Noi siamo l’ultima speranza per il cambiamento. Siamo ultima ancora di salvezza per il popolo cristiano occidentale che conta su di noi”: così Salvini al recente Congresso della Lega.
Tra il “Prima gli Italiani!” e lo “Spezzeremo le reni alla Grecia” , insomma, tira aria di famiglia. Sul piano delle proposte concrete, si sono spesso evocate, dai leader sovranisti, politiche protezionistiche, finalmente applicabili una volta riconquistato il pieno governo nazionale dell’economia. In sintesi, un repertorio ideologico greve, rozzo, reazionario, guardato con disprezzo e sarcasmo dalle élites intellettuali democratiche, ma dotato di una notevole efficacia sulle classi popolari. Parole d’ordine tanto velleitarie quanto fulminanti. Le forze populiste, scese dai pulpiti propagandistici, hanno spesso oscillato, in realtà, nel grado di aggressività verso le istituzioni europee, alternando inviti al distacco dalla UE all’esigenza di negoziare con più forza la difesa degli interessi nazionali nei vari tavoli comunitari. Il Movimento 5 stelle, ad esempio, anni fa promosse una raccolta di firme per un referendum sull’uscita dall’Euro, con Di Maio che dichiarò pubblicamente che avrebbe votato sì, salvo poi accantonare l’idea.
Il sovranismo di sinistra
Appare intellettualmente ben più attrezzato, in una logica esplicitamente anticapitalistica, il neosovranismo “di sinistra”, che è l’humus culturale, ad esempio, di un intellettuale marxista come Alberto Bagnai, approdato, non troppo misteriosamente, suoi banchi parlamentari della Lega salviniana. Oppure dell’ex piddino Stefano Fassina, che nel settembre del 2018, fuoriuscito dal partito, ha fondato Patria e Costituzione, un partito politico che denuncia l’ordoliberismo” individualista comunitario, colpevole di avere “reciso ogni legame sociale e generato solitudini impoverite e domanda di protezione”, tanto da fare “ritornare di straordinaria attualità la ricostruzione di una comunità politica”. Un obiettivo che non sembra granché diverso da quello, salviniano, di una comunità politica nazionale, protetta dai dazi e confortata da una rinnovata solidarietà collettiva.
Secondo queste interpretazioni, da diversi decenni la sinistra italiana avrebbe colpevolmente rinunciato a rivendicare, assieme alla sovranità nazionale, la difesa degli interessi popolari, piegandosi, in una rovinosa progressione, alle logiche spietate della finanza e dell’industria multinazionali.
Sovranità o barbarie
Uno dei testi più significativi, nell’area del “sovranismo di sinstra”, è quello di , Meltemi, 2019. Il testo ricostruisce le posizioni teoriche assunte dalla sinistra italiana nel secondo dopoguerra sul processo di integrazione europea. Negli anni Cinquanta e Sessanta il Psi di Nenni e il Pci di Togliatti, interpretavano l’europeismo come un cedimento agli interessi imperialistici americani in funzione antisovietica. In un discorso alla Camera del 13 luglio del 1949, ad esempio, Togliatti separava il “sentimento nazionale del nostro proletariato” dal “nazionalismo della borghesia” e il “nostro internazionalismo da questo cosmopolitismo..con il quale si giustificano..queste unioni europee e queste continue rinunce alla sovranità nazionale“,
I decenni successivi, videro un progressivo stemperamento di queste posizioni, anche alla luce degli evidenti benefici economici sperimentati dall’Italia del boom economico e dall’evoluzione ideologica in corso nel Pci. Quando il ciclo lungo keynesiano si esaurì, agli inizi degli anni Settanta, la cultura economica dei comunisti italiani si rivelò tragicamente subalterna. Secondo i due studiosi , la cultura economica della sinistra italiana, in particolare quella del partito comunista, subì una catastrofica deriva, finendo per soggiacere all’egemonia intellettuale dell’offensiva neoliberista che aveva raggiunto l’Italia con economisti come Franco Modigliani.
In pratica, anche i comunisti italiani, compresi leader sindacali del calibro di Luciano Lama e Bruno Trentin, si convinsero che non c’erano alternative, data la crisi del modello keynesiano, al nuovo ordine liberista imposto dal sistema capitalistico internazionale e che trovava negli ordinamenti comunitari piena espressione. Un processo ideologico analogo e contemporaneo a quello che aveva investito il Labour in Gran Bretagna, quando il governo laburista di James Callaghan (1976-79) affrontò la crisi economica in corso rinnegando le ricette keynesiane del rivale di partito Tony Benn e accettando invece, assieme ad un ingente prestito, le pesanti direttive liberiste imposte dal FMI.
Passaggio cruciale di questo declino culturale e politico fu l’assenso alla firma del fatidico Trattato di Maastricht, nel 1992, nel quale vennero fissati rigidi vincoli di finanza pubblica riguardanti il tasso di inflazione, i rapporti tra deficit e PIL e quelli tra debito e PIL, e che impegnava i governi firmatari ad adottare l’euro entro il 1999. In quel momento, le forze di sinistra rinunciavano, assieme alla sovranità monetaria e fiscale, a difendere adeguatamente i lavoratori dalle forme sempre nuove di oppressione capitalistica. La progressiva perdita di consenso di questi anni in queste fasce sociali è stata la inevitabile conseguenza.
La resurrezione bipartizan di John Maynard Keynes
Anche secondo i sovranisti “di sinistra” la terapia è radicale: uscire dall’euro e ristabilire la sovranità monetaria degli stati nazione. “Solo così – sostiene Carlo Formenti – tornerà possibile separare banche commerciali e banche di investimento, nazionalizzare le banche in difficoltà, sottrarre l’agricoltura e le Pmi al controllo monopolistico, introdurre politiche fiscali progressive, ecc.” Sarebbe insomma possibile rilanciare l’economia e l’occupazione grazie a vigorose politiche economiche neokeynesiane. Il recupero della sovranità monetaria permetterebbe infatti di aumentare la spesa pubblica senza gli odiosi limiti imposti da Bruxelles. Questo permetterebbe allo stato sia di investire massicciamente, per esempio, nelle crisi aziendali in corso, come quelle di Alitalia o Mittal, acquisendo eventualmente quote proprietarie delle stesse; sia di distribuire, attraverso salari e stipendi, quote di reddito in grado di rilanciare la domanda interna e la ripresa, conseguente, degli investimenti privati. I pericoli di insolvenza del colossale debito pubblico verrebbero parallelamente ridimensionati dall’aumento del Pil. Allo stesso modo, la drastica svalutazione della nostra moneta, la lira, rispetto all’Euro e alle valute più forti del mondo, rilancerebbe la competitività delle nostre esportazioni…. Il recupero della sovranità nazionale permetterebbe, in altri termini, di riattivare quel compromesso keynesiano tra capitale e lavoro che ha illuminato l’Europa per una trentina d’anni. Diciamolo: sembra il mondo delle favole. Come pensare di azzerare le complesse, profonde, irreversibili trasformazioni economiche, tecnologiche, finanziarie, commerciali, culturali, politiche che hanno investito l’intero pianeta negli ultimi trent’anni?
Sovranismo e basta
Se le cose stanno così, ha davvero senso distinguere tra un sovranismo di destra e un sovranismo di sinistra? Alla fine i due percorsi, per quanto diversi nella qualità argomentativa (da una parte la lotta ai barconi e i minibot, dall’altra la Teoria generale dell’interesse, dell’occupazione e della moneta) e negli slogan utilizzati dagli uni o dagli altri, risultano convergenti. La sinistra tradizionale, secondo queste analisi, perde voti a favore della destra perchè è la destra a proporre ricette di sinistra. Conviene perciò che la sinistra imiti la destra. ” In questo senso – concludono sorprendentemente Thomas Fazi e William Mitchell – le forze di destra oggi sono egemoniche anche perché sono in grado di tessere nuove narrazioni identitarie in cui la sovranità nazionale viene declinata in chiave etnica, razziale o religiosa. La sinistra, per tornare a vincere, oltre ad avere una chiara visione della necessaria trasformazione socioeconomica e istituzionale della società, deve anche essere in grado di produrre miti e narrazioni altrettanto potenti, che riconoscano il bisogno di appartenenza delle persone e il loro legame col territorio in cui vivono e con le persone con cui condividono quello spazio”.