Focus. Obiettivo autonomia

Abstract. Uno dei terreni sui quali il nuovo governo Conte dovrà stare bene attento a non scivolare è quello dell’ “autonomia regionale differenziata” o “regionalismo asimmetrico”. Il cammino del regionalismo. la riforma del Titolo V. La crisi finanziaria del 2008. Le richieste di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. La distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni.

Questione spinosissima, in un Paese come il nostro, che è nato componendo territori straordinariamente diversi sotto un profilo geografico, economico, culturale e politico. Un Paese da sempre fragile, nato assieme ad una “questione meridionale” per molti aspetti irrisolta; e cresciuto vedendo montare, negli ultimi decenni e per motivi opposti, una “questione settentrionale” dalle valenze perfino secessioniste. Le iniziative intraprese dalle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017, al fine di ottenere più competenze dallo stato centrale, investono perciò un nodo storicamente cruciale della storia nazionale, quello del rapporto tra centro e periferia (e quello tra le periferie regionali stesse) in materia di poteri, risorse economiche, fiscalità.

L’art. 114 della Costituzione

La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni [cfr. art. 131] e dallo Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione.
Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.

L’art. 116 della Costituzione

Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.
Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.

Il cammino del regionalismo

La richiesta di maggiori competenze avanzate dalle tre regioni appare il punto di arrivo di un lungo e contraddittorio percorso verso la piena attuazione del principio di autonomia previsto dalla Carta costituzionale. Un tragitto lungo il quale le regioni hanno progressivamente accumulato, accanto alle funzioni proprie ai principi del decentramento amministrativo e della autonomia, previsti dall’art 5 della Costituzione, anche alcuni caratteri federalistici, perlomeno a livello fiscale. Le regioni, infatti, non si limitano a legiferare e amministrare in certi ambiti, ma, da alcuni anni, possono anche istituire tributi propri al fine di finanziare le loro attività. I punti di svolta, in questa progressiva assunzione di poteri, sono stati due.

La Legge Bassanini del 1997

Nel 1998, delegato dalla cosiddetta Legge Bassanini dell’anno prima, il governo conferì funzioni e compiti agli enti locali su materie riferibili a quattro settori: sviluppo economico e attività produttive; territorio, ambiente e infrastrutture; servizi alla persona e alla comunità; polizia amministrativa regionale e locale e regime autorizzatorio. Si trattava del cosiddetto “federalismo a Costituzione invariata”, finalizzato alla realizzazione del massimo decentramento possibile con legge ordinaria.

La riforma del Titolo V

Il secondo, invece, nel 2001, risultò dalla revisione costituzionale del titolo V voluto dal governo di centrosinistra di Romano Prodi. Oltre ad attribuire centralità amministrativa ai Comuni, le nuove norme hanno ridefinito i rapporti tra Stato e Regioni attraverso l’‘inversione’ del criterio di ripartizione delle competenze legislative tra tali soggetti. Venivano infatti elencate le competenze statali e quelle “concorrenti”, rinviando tutte le altre alla competenza legislativa generale regionale, che assumeva perciò preminenza. L’art. 117 stabilisce infatti che «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali»; e specifica che alle regioni spetta la potestà legislativa generale in ogni materia non espressamente riservata allo Stato (politica estera, immigrazione, difesa, politica monetaria, ambiente, previdenza sociale ecc.).

La crisi finanziaria del 2008

Le aspirazioni regionalistiche esaltate dalla riforma del titolo V hanno però subito un obiettivo rallentamento a causa della difficilissima situazione finanziaria in cui il Paese si è venuto a trovare dopo la crisi del 2007. Infatti, il nostro ordinamento ha subìto forti torsioni centralistiche, dovute all’esigenza di contenere o ridurre la spesa pubblica anche attraverso l’uniformazione e la semplificazione dell’organizzazione amministrativa e territoriale del Paese. Si è assistito così ad un netto spostamento del baricentro a favore delle potestà legislative dello Stato, anche per effetto dell’intervento della Corte costituzionale che, in più occasioni, ha assecondato la tendenza statale al riaccentramento. Questo stato di cose e il contenzioso assai complesso che le ambiguità della riforma del titolo V ha innescato tra stato e regioni negli anni successivi, consigliarono il governo Renzi a promuovere – all’interno della più complessiva proposta di riforma costituzionale – una revisione in senso accentratore della riforma del 2001. Come è nato, il referendum popolare svoltosi nell’ottobre del 2016 ha spazzato via quella “contro-riforma”.

Le richieste di Veneto, Lombardia, Emilia Romagna

L’esito rovinoso del referendum per le forze politiche che lo avevano promosso ha così favorito la ripresa di un rinvigorito disegno autonomistico. Il meccanismo offerto dall’art. 116 Cost. è così apparso come la nuova occasione per far ripartire, questa volta dal basso, il processo di cambiamento istituzionale del nostro Paese, anche sul piano del riordino amministrativo e territoriale. Il 22 ottobre 2017, Lombardia e Veneto hanno tenuto addirittura un referendum consultivo, non necessario, per sostanziare col voto popolare la richiesta di una maggiore autonomia. In precedenza, l’Emilia-Romagna si era mossa nella stessa direzione, ma senza ricorrere alla consultazione popolare . Il 28 febbraio 2018, tutte e tre le Regioni siglavano con l’allora Governo in carica l’accordo preliminare in merito. Altre regioni, sull’onda di questa tendenza, si apprestano a farlo.
A considerare le richieste di queste tre regioni, Lombardia e Veneto, entrambe a guida leghista, sono quelle più risolute nella rivendicazione di autonomia, riferendola a tutte le competenze citate dalla legge.

La distribuzione delle competenze tra stato e regioni

Art. 117 Cost

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull’istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;
s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Le richieste del Veneto e della Lombardia

1. organizzazione della giustizia di pace….(lettera l);
2. norme generali sull’istruzione (lettera n);
3. tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (lettera s);

MATERIE DI COMPETENZA CONCORRENTE
(art. 117, terzo comma, Cost.)
4. rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;
5. commercio con l’estero;
6. tutela e sicurezza del lavoro;
7. istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche;
8. professioni;
9. ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori 10. produttivi;
11. tutela della salute;
12. alimentazione;
13. ordinamento sportivo;
14. protezione civile;
15. governo del territorio;
16. porti e aeroporti civili;
17. grandi reti di trasporto e di navigazione;ordinamento della comunicazione;
19. produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
20. previdenza complementare e integrativa;
21. coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
22. valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;
23. casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a:
a) rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;
b) commercio con l’estero;
c) tutela e sicurezza del lavoro;
d) istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
e) professioni;
f) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
g) tutela della salute;
h) alimentazione;
i) ordinamento sportivo;
l) protezione civile;
m) governo del territorio;
n) porti e aeroporti civili;
o) grandi reti di trasporto e di navigazione;
p) ordinamento della comunicazione;
q) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
r) previdenza complementare e integrativa;
s) coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
t) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e u) organizzazione di attività culturali;
v) casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

Il Palazzo della Regione Veneto a Venezia

Le richieste dell’Emilia Romagna

1. tutela e sicurezza del lavoro
2. istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche
3. norme generali sull’istruzione
Internazionalizzazione delle imprese, ricerca scientifica e tecnologica, sostegno all’innovazione
4. commercio con l’estero
5.ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi
Territorio e rigenerazione urbana, ambiente e infrastrutture
6. governo del territorio
7. protezione civile
8. tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali
Salute
9. tutela della salute
10. Competenze complementari e accessorie
riferite alla governance istituzionale, al coordinamento della finanza pubblica, alla partecipazione alla formazione e all’attuazione del diritto dell’Unione europea
10) coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario
11) rapporti internazionali e con l’Unione Europea delle Regioni
12) organizzazione della giustizia di pace
Ulteriori obiettivi strategici
13) agricoltura, protezione della fauna, esercizio dell’attività venatoria e acquacoltura
14) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali
15) ordinamento sportivo

L’ordinamento regionale della Repubblica italiana in pillole

Le Regioni sono, assieme ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e allo Stato, uno dei cinque elementi costitutivi della Repubblica Italiana.
Le regioni, secondo quanto indicato dall’art. 131, sono venti. Quindici di esse hanno statuto ordinario:  Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria. Cinque hanno invece statuto speciale:  Valle d’Aosta Trentino-Alto Adige (nelle due “province autonome” di Trento e Bolzano, dotate degli stessi poteri delle regioni a statuto speciale), Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna.
L’ordinamento regionale fu attuato solo all’inizio degli anni Settanta, molto tempo dopo la previsione costituzionale del 1948, per le incertezze di alcune forze politiche di allora sull’opportunità dell’attuazione.
Un’importante riforma si è avuta nel 2001, con la riforma del titolo V ( l. Cost. 3/2001) che ha rovesciato il rapporto tra stato e regioni in ambito legislativo: ora la legge definisce le competenze statali e concorrenti e lascia alle regioni la competenza generale. Le difficoltà generate da questa riforma avevano consigliato il governo Renzi a promuovere un’ulteriore riforma che è stata però bocciata nel referendum del 2016.

Le regioni a statuto speciale

Le prime Regioni italiane ad essere costituite furono quelle a statuto speciale, sulla base di premesse politico-giuridiche ancora precedenti l’entrata in vigore della nostra Costituzione, nel 1948. Un decreto del 15 maggio 1946 di re Umberto riconobbe lo Statuto speciale della Regione Sicilia, dopo una trattativa con la Consulta regionale siciliana, La raggiunta autonomia permise di svuotare il secessionismo alimentato dal Movimento per l’Indipendenza della Sicilia . Il 5 settembre 1946, nell’ambito della Conferenza di pace di Parigi, venne firmato l’Accordo De Gasperi-Gruber, che prevedeva la concessione alle province di Trento e Bolzano di un «potere legislativo ed esecutivo regionale autonomo»; entrava anche in vigore il d.lgs.lgt. n. 545, 7 settembre 1945 che aveva già costituito la Circoscrizione autonoma della Valle d’Aosta. Anche lo Statuto speciale della Regione Sardegna, recepito in Costituzione nel 1948, fu giustificato dalle esigenze autonomiste portate avanti dal Partito Sardo d’Azione. L’utima Regione riconosciuta a statuto speciale fu il Friuli Venezia Giulia, nel 1963, dopo la soluzione dei delicatissimi problemi di confine ereditati dalla fine della guerra. Le regioni a statuto speciale sono prive di autonomia statutaria, visto che gli statuti speciali sono leggi costituzionali dello Stato. Quelle a statuto ordinario possono invece modificarlo attraverso una legge regionale. Tuttavia, la legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2, ha modificato gli statuti delle cinque regioni speciali, attribuendo a una legge statutaria la determinazione della forma di governo della regione e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Solo per la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol la forma di governo continua a essere disciplinata dallo statuto regionale.

L’ordinamento regionale tra autonomia e federalismo

Le ragioni ispiratrici dell’ordinamento regionale risiedono in un’esigenza di autonomia data sia dalla reazione al centralismo fascista, sia dalle particolarità storiche dei nostri territori. “La Resistenza – scriveva Claudio Pavone nel 1975, in occasione del 30° anniversario della Liberazione – è stata pressoché unanime, nelle sue prese di posizione esplicite, nel rivendicare decentramento e autonomie locali”. Si trattò di un orientamento condiviso dell’intero schieramento antifascista quando iniziò, ancora prima della fine del conflitto, a chiedersi quale poteva essere l’ordinamento del nuovo stato democratico.

Il centralismo del regime mussoliniano si era spinto fino a sopprimere ogni forma di vita democratica locale smantellando le amministrazioni elettive, sostituite da organi di nomina governativa (podestà nei comuni e presidi nelle province). Questo indirizzo, in particolare, si era tradotto nella repressione delle aspirazioni autonomistiche delle aree multietniche e multilinguistiche (Valle d’Aosta, Sud Tirolo, Venezia Giulia e Istria) e nella italianizzazione forzata di questi territori. L’istituzione delle Regioni, nel dibattito dell’assemblea costituzionale, divenne così politicamente centrale. Le forze politiche, tuttavia, mostrarono un atteggiamento non omogeneo. I cattolici, si ricollegavano alla vocazione regionalista del Partito Popolare e di Luigi Sturzo; le correnti repubblicane e radicali, eredi del federalismo democratico di Cattaneo, erano forse i più convinti regionalisti tra i costituenti. Più tiepidi, i liberali ed i due partiti di ispirazione marxista, il PCI e il PSIUP: i primi esprimevano il timore che con l’istituzione delle Regioni potesse essere compromessa l’unità nazionale; i secondi si preoccupavano che un decentramento istituzionale portato oltre un certo limite potesse dare spazio alle componenti più conservatrici della società italiana .


L’ordinamento regionale presupponeva la sovranità preesistente dello stato centrale, titolare dei poteri originari, alcuni dei quali venivano concessi alle regioni. Secondo l’ impostazione giuridica costituente, solo lo Stato era sovrano e l’autonomia regionale veniva derivata da esso. . Lo stesso differimento nel tempo rispetto alla previsione costituzionale che istituiva le regioni lo confermò empiricamente, Un’impostazione federalista avrebbe invece invertire il rapporto, concependo lo stato federale come l’espressione di poteri trasferiti ad esso da enti sovrani preesistenti, ossia le regioni. Negli anni successivi alla nascita delle Regioni a statuto ordinario, nel 1970, iniziò un processo di progressivo ma faticoso trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato. Una prima svolta nella ripartizione delle funzioni si è avuta con la legge 59 /1997, la cosiddetta “Legge Bassanini”, che prevedeva l’attribuzione delle funzioni amministrative alle Regioni anche per quanto riguarda la cura e la promozione dello sviluppo delle rispettive comunità e non solo per le materie in cui aveva competenza legislativa.

Due anni dopo, la legge Costituzionale n.1 del 1999 ha modificato la forma di governo regionale, introducendo l’elezione popolare diretta del Presidente della Giunta, che ha prodotto l’effetto politico di rafforzare obiettivamente il legame tra i cittadini e le rispettive regioni di appartenenza. Una seconda importante svolta nel rapporto tra Stato e Regioni a statuto ordinario si è avuta con la riforma costituzionale del titolo V promossa dal governo Prodi nel 2001, che ha introdotto, secondo taluni, degli elementi di vero e proprio federalismo (l’obiettivo politico di allora, d’altra parte, era quello di neutralizzare le ambizioni secessioniste della Lega di Bossi). Rovesciando il criterio precedente, la norma fissava le competenze “esclusive” spettanti allo Stato e quelle “concorrenti” comuni a Stato e Regioni, lasciando potestà piena alle Regioni per tutte le competenze non espressamente citate. Le ambiguità create dall’elenco delle competenze concorrenti ha originato in quest anni un contenzioso molto pesante tra stato e regioni, che ha spinto il governo Renzi, ad una modifica del titolo V poi bocciata al referendum approvativo del 2016.

Il federalismo fiscale

Il federalismo fiscale è una dottrina politicoeconomica volta a instaurare una proporzionalità diretta fra le imposte riscosse da un certo ente territoriale (ComuniProvinceCittà metropolitane e Regioni) e le imposte effettivamente utilizzate dall’ente stesso. Tale sistema, integrato e coordinato tra i vari livelli di governo dello Stato, prende il nome di fisco federale.


Il cosiddetto fisco federale è attuato in Trentino e in Alto Adige, la cui autonomia sancita dallo statuto speciale negli anni settanta, prevede un’ampia autonomia finanziaria e legislativa, le province ad autonomia speciale trattengono i nove decimi di tutte le entrate tributarie erariali (anche sui tabacchi, benzina e marche da bollo), particolare autonomia anche sui servizi in genere affidati al potere centrale quali: scuole, viabilità, infrastrutture. La Regione siciliana, ai sensi degli articoli 36 e seguenti del proprio statuto (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2), sarebbe dotata di completa autonomia finanziaria e fiscale, de facto totalmente dipendente dal gettito riversatole dalle altre regioni mediante il governo centrale. In Italia il termine federalismo è utilizzato generalmente per rivendicare una maggiore autonomia delle regioni, o di gruppi di regioni.


Nella realtà, tuttavia, il processo di realizzazione di una maggiore autonomia fiscale delle Regioni era iniziato già negli anni novanta con i decreti attuativi della legge delega n. 421 del 1992, nei quali venivano sancite alcune integrali attribuzioni tributarie alle Regioni ed agli enti locali, tra le quali vi erano la tassa automobilistica ed i contributi sanitari. E veniva con gli stessi, inoltre, introdotta l’ICI. Sempre in quegli anni, in particolare con le Leggi Finanziarie 1995 e 1996, venivano rispettivamente, riformati i criteri di assegnazione del Fondo Perequativo alle Regioni, ed istituite l’Imposta Regionale sulle Attività Produttive e l’addizionale regionale Irpef.

Il gettito di queste ultime, tuttavia, era vincolato al finanziamento della sanità.Successivamente, la legge delega n. 133 del 1999 ed il decreto attuativo n. 56 del 2000, attuativo dell’art. 10 della legge n. 133/1999, sancivano l’abolizione del vincolo di destinazione, l’abolizione dei trasferimenti da parte dello Stato alle Regioni a statuto ordinario, sostituendoli con un aumento delle aliquote di compartecipazione all’addizionale regionale Irpef e di compartecipazione all’accisa sulla benzina. Il D.Lgs. 56 del 2000 ha, inoltre, istituito il Fondo Perequativo Nazionale, specificandone l’entità ed i criteri di ripartizione tra le Regioni.Certo, tutti questi interventi legislativi hanno gettato le fondamenta culturali per la realizzazione di uno Stato unitario, ma con decentramento dei poteri e delle attribuzioni di tipo federalista.

La legge delega n. 42 del 21 maggio 2009: i principi

È entrata in vigore il 5 maggio 2009, dopo circa otto anni dalla modifica apportata al Titolo V della Costituzione, la Legge Delega n. 42 (in G.U. n. 103 del 6 maggio 2009) recante “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione”.L’art. 1 della L. 42/2009 stabilisce che: “la presente legge costituisce attuazione dell’art. 119 della Costituzione, assicurando autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni e garantendo i principi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione e l’effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti.”Emerge da una prima lettura che uno dei principi fondanti di questo progetto di federalismo è il superamento della c.d. spesa storica in favore di un criterio di finanziamento ritenuto più responsabilizzante per gli enti locali, ossia il criterio dei fabbisogni standard.

La Legge Delega prevede, altresì, l’istituzione di un fondo perequativo e l’attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, città metropolitane e regioni.Il nuovo sistema di ripartizione delle risorse nei confronti degli enti locali dovrà basarsi sull’individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull’intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali.Viene a tal fine stabilito dalla legge delega un periodo transitorio dal 2011 al 2013 per l’applicazione del criterio di finanziamento basato sui fabbisogni standard a tutte le funzioni fondamentali.

Dal punto di vista attuativo, la legge prevede, all’art. 2, la delega al Governo per l’emanazione, entro ventiquattro mesi dall’entrata in vigore della legge stessa (quindi entro il 21 maggio 2011), di uno o più decreti in attuazione dell’art. 119 della Costituzione, prevedendo, altresì, a tal fine, specifici principi e criteri direttivi.
I principali criteri sui quali si basa il Federalismo Fiscale sono:
a) Una maggiore autonomia di entrata e di spesa con conseguente maggiore responsabilizzazione sia amministrativa e contabile sia fiscale degli enti decentrati;
b) Una maggiore razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario nel suo complesso;
c) Una maggiore collaborazione di tutti i livelli di governo finalizzata al contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, prevedendo altresì meccanismi premiali;
d) Non alterazione nei decreti attuativi dei criteri di progressività e di capacità contributiva, escludendo altresì ogni forma di doppia imposizione sul medesimo presupposto (con ovvia esclusione delle addizionali predisposte dalla legge);
e) Tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate;
f) Previsione di sanzioni per gli enti che non rispettano gli obiettivi, fino alla predisposizione della possibilità per lo stato centrale di esercitare il potere sostitutivo ai sensi dell’art. 120 della Costituzione.
Il sistema del federalismo sarà caratterizzato, inoltre, da finanziamenti dello stato agli enti decentrati anche mediante compartecipazioni al gettito dei tributi erariali per le regioni.
La legge predispone altresì una riduzione della imposizione fiscale statale in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali.
Ad oggi, sono stati approvati solo alcuni decreti attuativi della legge delega, mentre altri sono ancora in fase di esame e di approvazione.
In generale, il progetto di federalismo fiscale consta di
I decreti legislativi approvati fino ad ora sono:
a) Il decreto legislativo recante l’attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio (c.d. Federalismo Demaniale);
b) Il decreto in materia di ordinamento transitorio di Roma capitale;
c) Il decreto recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard dei comuni, città metropolitane e province;

 Le proposta di Veneto, Emilia Romagna, Toscana

Regionalismo differenziato e ordinamento locale: le richieste di Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia.
Quale idea di autonomia regionale
, Centro studi regionali dell’Università di Padova
Veneto
Decentramento e federalismo, GECT, Regione Veneto
Il referendum consultivo del 2017 in Veneto, Wikipedia
Emilia Romagna
Più autonomia per l’Emilia-Romagna: 15 competenze su 23 e non un euro in più dallo Stato,
Regione Emilia Romagna
Toscana
Toscana, Regione Toscana
I dieci punti della richiesta di autonomia differenziata della Toscana,  in Greenport.it, 15 ottobre 2019

Le posizioni delle forze politiche e culturali

Autonomia differenziata: si allarga il dibattito, regioni.it, 22-7-19
Autonomia regionale, sia parte di un processo di solidarietà, L’Avvenire
Autonomia è unità, solidarietà e qualità di servizi, Festival nazionale dell’Unità, 25-8-19
L’autonomia regionale e il silenzio del Pd, Gianfranco Viesti, Il Mulino, 2-7-19
Autonomia. L’ultimatum di Salvini, SkyTg24, 22-7-19
 Autonomia differenziata, i paletti di Di Maio: «La difesa del Sud è imprenscindibile», Open, 10-7-19
Autonomia differenziata: i patrioti propongano una alternativa, La voce del patriota, 5-9-19
La Lega torna a spingere sulle Autonomie, ma la maggioranza degli italiani è contraria, Fanpage.it, 19-6-19
Autonomia, le Regioni che ci stanno e i ‘no, ADN Kronos, 10-2-19
Da Chiamparino a Gori, chi sono gli amministratori Pd che dicono sì all’autonomia, Il Sole 24 ore

Contrari

Ritirare qualunque autonomia differenziata,26-7-19, Libertàgiustizia
Autonomia differenziata, così si passa da ‘prima gli italiani’ a ‘prima alcuni italiani’, Marina Boscaino, Il fatto Quotidiano Blog, 24-6-19
Autonomia differenziata e dissoluzione dell’unità nazionale: ce lo chiede l’Europa? Gilda Venezia, 23-7-19
Gilda,
Occhi aperti sull’autonomia differenziata, Federazione Gilda Unams
Nessuno si oppone all’autonomia delle regioni del Nord (eppure è la riforma più pericolosa di tutte), Flavia Perina, Linkiesta, 10-7-19
Autonomia regionale differenziata: un rischio per l’Italia, First on line, sul saggio di Giampaolo Viesti,
Giampaolo Viesti: “L’autonomia differenziata rompe l’unità nazionale. La riforma va fermata”, 22-2-19

Industriali e sindacati

Confindustria
Autonomia: per Confindustria l’Emilia Romagna ha agito con equilibrio, Conferenza delle regioni e delle province autonome, 23-9-19
Confindustria, Iniziative regionali per l’autonomia differenziata ex articolo 116 della Costituzione, luglio 2019, Astrid on line
CGIL; CISL, UIL
Autonomia: Cgil, bene confronto ma bozza legge non ancora sufficiente a garantire coesione e uguali diritti in tutti i territori, Cgil.it
Autonomia differenziata in Emilia Romagna, la scuola dice no, OrizzonteScuola.it, 17-11-19
Regioni. Furlan: “L’Autonomia differenziata non puo’ prescindere dalla solidarieta’ nazionale“, Cisl.it
Uil: bene la bozza sull’Autonomia differenziata, ma evitare contraddizioni attuative, Uil.it

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