Focus. I distretti industriali veronesi alla ricerca di mercati esteri

di Roberto Ricciuti

Roberto Ricciuti è docente di Politica economica presso l’Università di Verona

Abstract. I dati del del Monitor Distretti del Triveneto mostrano che nel 2018, in un quadro generale non soddisfacente. alcuni distretti veronesi hanno aumentato le esportazioni, altre le hanno nettamente diminuite. Sono aumentate anche le distanze medie dei distretti veronesi. Quarto, tra i migliori distretti italiani, quello della termomeccanica veronese, che ha superato la crisi grazie ad investimenti sull’innovazione di prodotto e di processo

Il periodico aggiornamento del Monitor Distretti del Triveneto, l’osservatorio con cui Intesa Sanpaolo analizza le performance internazionali di oltre 40 distretti industriali del Nord Est, fornisce un quadro interessante sullo sviluppo dei distretti industriali veronesi nel 2018. Il rapporto considera otto distretti della provincia di Verona (Termomeccanica scaligera, Dolci e pasta veronesi, Grafico veronese, Calzatura veronese, Mobili in stile di Bovolone, Vini del veronese, Carni di Verona e Marmo e granito di Valpolicella).

I dati delle esportazioni

Il rapporto presenta alcune statistiche interessanti sulla performance internazionale di questi distretti. In primo luogo, le esportazioni. Considerando che la provincia di Verona ha € 26.493 di esportazioni per addetto, di circa € 9.000 superiore alla media italiana e che si colloca al nono posto in Italia e al terzo posto in Veneto dopo Vicenza e Treviso, nel 2018 la performance dell’export rispetto all’anno precedente è stata molto differenziata. Incrementi significativi ci sono stati per i distretti della termomeccanica, dolci e pasta e grafica, mentre gli altri hanno avuto performance leggermente negative, con un risultato particolarmente sfavorevole per il marmo e granito della Valpolicella (-10,3%). Il 2018 non è stato un anno particolarmente positivo per le esportazioni italiane, con alcuni paesi con cui commerciamo che hanno ridotto la domanda e politiche commerciali sfavorevoli, e questo andamento ha colpito anche le aziende distrettuali veronesi.

La distanza coperta dai prodotti

In secondo luogo, il rapporto fornisce una misura della distanza coperta dai prodotti esportati nel 2018 e la confronta con dieci anni prima. I distretti hanno aumentato la distanza media delle esportazioni, dal Mobile di Bovolone (che percorre in media km 3.520, aumentata di km 822 in dieci anni) alle carni, che percorrono km 1.417, con l’eccezione dei vini (km 2.900, sostanzialmente stabile, con una piccolissima riduzione di km 22). In valore assoluto, però, il maggiore incremento è mostrato dal settore grafico con km 914. Rispetto alla media dei distretti (km 3.147, con un incremento di km 409), solo il mobile di Bovolone viaggia più della media, seguito dalla termomeccanica e dai vini. I costi di trasporto diminuiscono e le imprese cercano nuovi mercati all’estero, soprattutto a causa della stagnazione di quello interno negli ultimi dieci anni.

La termomeccanica al quarto posto

Infine, tra i venti migliori distretti in Italia per crescita e redditività, al quarto posto si piazza la termomeccanica veronese. È un risultato importante, vista la crisi che ha colpito le imprese del settore alcuni anni fa, ma che appare superata grazie ad investimenti sull’innovazione di prodotto e di processo. Questo settore rappresenta le caratteristiche dei distretti veronesi: specializzati in settori tradizionali e per questo senza particolari prospettive di crescita, hanno conseguito dei risultati economici importanti nel passato, ma oggi non riescono a replicare le stesse performance, in un contesto concorrenziale dove l’innovazione è lo strumento più importante per la competitività. Solo l’aggiornamento della tecnologia e del capitale umano potrà consentire di mantenere le posizioni acquisite.

Scheda

Distretto industriale

I principali distretti italiani

Sistema produttivo costituito da un insieme di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, caratterizzate da una tendenza all’integrazione orizzontale e verticale e alla specializzazione produttiva, in genere concentrate in un determinato territorio e legate da una comune esperienza storica, sociale, economica e culturale.


Cenni storici. Il primo autore a studiare questa specifica forma di organizzazione della produzione è stato A. Marshall, che in Principles of economics (1890) ne delinea le principali caratteristiche. Uno degli elementi fondamentali è il concetto di ‘atmosfera industriale’: quando in un territorio circoscritto lavora un numero molto elevato di soggetti che svolgono mestieri simili, «i misteri dell’industria non sono più tali. È come se stessero nell’aria, e i fanciulli ne apprendono molti inconsapevolmente». È come se l’esperienza necessaria per svolgere un determinato lavoro (non necessariamente solo manuale) si sviluppasse in maniera innata, quasi «respirandola nell’aria». Secondo G. Becattini (Il mercato e le forze locali: il distretto industriale, 1987), uno dei maggiori studiosi italiani di d. i., ciò che unisce fortemente tra loro le imprese che vi appartengono «è una rete complessa e inestricabile di economie e diseconomie esterne, di congiunzioni e connessioni di costo, di retaggi storico-culturali che avvolge sia le relazioni interaziendali che quelle più squisitamente personali». I rapporti professionali si intrecciano con relazioni sociali di carattere informale, che facilitano la diffusione della conoscenza tra gli attori.


Capacità tecnologiche, opportunità e vantaggi. Le imprese del d. i., pur essendo nella maggior parte dei casi di dimensioni limitate, mostrano spesso una capacità tecnologica e innovativa medio-alta, soprattutto grazie all’elevato livello di specializzazione, che consente a ognuno di concentrarsi su un numero ristretto di fasi produttive e di adottare sistemi produttivi avanzati, che permettono una diminuzione dei costi di transazione rispetto a quelli di coordinamento. La realtà distrettuale è contraddistinta da una elevata densità imprenditoriale. Anche se la numerosità dei soggetti può favorire un aumento del livello di competitività (➔) tra le imprese e il verificarsi di comportamenti opportunistici, nel caso dei d. i. ciò non si verifica, o meglio, si verifica secondo modalità ‘non distruttive’. I rapporti fra soggetti sono il risultato della combinazione di concorrenza sui mercati di riferimento e di contemporanea consuetudine alla cooperazione reciproca.

È il corretto bilanciamento tra le due opposte tensioni verso la collaborazione e la competizione che crea lo stimolo a un continuo rinnovamento e permette lo sviluppo di nuove opportunità. Si incentiva l’investimento in macchinari innovativi, grazie alla parziale copertura del rischio garantita dalla rete di rapporti interpersonali; la specializzazione permette al singolo di limitare il numero di macchinari necessario; è favorita l’iniziativa imprenditoriale e così via (G. Dei Ottati, Distretto industriale, problemi delle transazioni e mercato comunitario: prime considerazioni, «Economia e Politica Industriale», 51, 1986). Un ruolo fondamentale nel successo dei d. i. marshalliani è giocato dalle economie esterne (➔ esternalità), ossia vantaggi non interni alla singola impresa e come tali esclusivi per quest’ultima, bensì esterni a essa e propri del d. i. nel suo complesso, quindi fruibili indistintamente da tutti i soggetti che ne fanno parte. Ne sono esempio la presenza di un ampio e stabile bacino di manodopera qualificata, bassi costi di accesso a servizi alla produzione, possibilità di utilizzare in maniera immediata e agevole macchinari sofisticati e metodi organizzativi comuni e, in generale, citando ancora Marshall, tutte le economie che sono «dipendenti dallo sviluppo generale dell’industria».


I distretti industriali in Italia. La realtà distrettuale in Italia si caratterizza per un forte radicamento territoriale in una specifica area socioeconomica, per una elevata specializzazione produttiva e per una notevole densità di piccole e medie imprese specializzate in fasi diverse del ciclo produttivo. Esempi noti di d. i. sono quelli della ceramica (Sassuolo e Faenza), calzaturieri (Barletta, Fermo, Montebelluna), tessili (Prato, Oleggio e Carpi), degli elettrodomestici (Fabriano), dell’ottica (Belluno) e quello del settore biomedicale (Mirandola). In Italia il d. i. è stato proposto come strumento di politica industriale distinto rispetto alle singole imprese e ai settori di produzione, nell’ambito della l. 317/1991, sugli interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese. Gli indirizzi e i parametri per l’individuazione delle relative aree sono stati stabiliti successivamente con d.m. 1993 (che ha affidato alle Regioni il compito di individuare i d. i. sulla base di stringenti criteri metodologico-statistici, successivamente ridefiniti in senso meno restrittivo dalla l. 140/1999), sulla base del quale le Regioni hanno definito le aggregazioni territoriali idonee. A tal fine, con delibera CIPE (➔) 3 maggio 2001, sono stati presi a riferimento i ‘sistemi locali del lavoro’, individuati dall’ISTAT su scala nazionale nel 1981 in base ai movimenti giornalieri di popolazione per motivi di lavoro.

Materiali

Indagine trimestrale della Confindustria veronese – Outlook sull’economia veronese
Api – Economia veronese giugno 2019

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